La seguente cronologia propone una parziale ricostruzione delle opere esposte nelle mostre di Sandro Visca. Sono antologizzati i testi dei cataloghi relativi alle mostre personali e per meglio comprendere l’attività di Visca sono riportate parti di recensioni apparse su quotidiani, riviste e periodici.

 

CRONOLOGIA

 1944
Sandro Visca nasce il 19 settembre a L’Aquila.

1951
Visca inizia da bambino a dimostrare uno spiccato interesse per il disegno e la pittura e già a cinque anni passa le giornate a dipingere paesaggi e a disegnare personaggi immaginari. A sette anni, con “L’usignolo” (pastello su cartoncino Fabriano), vince un Concorso Regionale di disegno a tema promosso dalla scuola E. De Amicis dell’Aquila e viene selezionato per partecipare alla Mostra Concorso Nazionale del Disegno Infantile che si tiene a Brescia dal 14 – 28 settembre.

1958
Dopo aver frequentato le scuole medie, per decisione della famiglia, anche se controvoglia si iscrive all’Istituto Tecnico per Geometri, ma le sue attenzioni rimangono sempre vive per il mondo dell’arte e dedica quasi tutto il suo tempo alla pittura.

1961
Intraprendente e di forte personalità il giovane Visca a diciassette anni allestisce , dal 1 al 20 settembre, la sua prima mostra personale alla Sala Eden dell’Aquila, allora luogo di incontro e scambio intellettuale della città. Espone “Barattoli”, “Strumenti musicali”, “Paesaggio”, “Marina”, “Campagna romana”, “Paese”, “Pesca al trabocco”, “Fiori”, “Autunno”, “Chimica”, “Cantiere”.

In questo periodo conosce Fulvio Muzi, il pittore più autorevole della città, e i fratelli Nicola e Fracescangelo Ciarletta con i quali, nonostante il divario di età, stringe una profonda amicizia.

Dopo aver frequentato malvolentieri per due anni l’Istituto Tecnico per Geometri, malgrado il disappunto dei suoi genitori, decide di iscriversi alla Scuola d’Arte che in quell’anno è riconosciuta Statale. Durante gli studi si distingue per il vivace impegno profuso ad un rinnovamento tecnico artistico delle materie professionali, ma soprattutto si fa notare nel disegno e nel laboratorio metalli‑oreficeria. In quegli anni il suo insegnante di figura disegnata, Giuseppe Desiato, diventato in seguito uno dei più autorevoli esponenti della body‑art in Europa, lo sceglie insieme ad altri artisti aquilani per formare il “Gruppo 5”.

 Spinto dalla sua intensa attenzione per la pittura, si reca a Roma per visitare la prima mostra personale di Rothko allestita alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna . In quell’occasione, per la prima volta, prende visione dei primi “sacchi” di Burri che nonostante le forti polemiche in corso, lo lasciano profondamente emozionato.

1962
-Dal 1 al 30 aprile Visca rappresenta la sua Scuola alla Terza mostra d’arte dello studente, sezione pittura, al Palazzo delle Esposizioni a Roma. Espone “Villaggio” (smalti sintetici su tavola) La mostra è a cura del “Giornale D’Italia”.

-Partecipa alla Prima mostra nazionale “Giuseppe Casciaro” al Circolo Artistico Politecnico di Napoli. Espone “Nudo” (vernici e smalti su carta), 18/24 aprile.

Visca è invitato alla “Mostra del disegno aquilano” alla Sala Eden dell’Aquila. Espone “Nudo n. 1” (inchiostro su carta), “Composizione di figure” (inchiostro su carta). La mostra è a cura della Società Universitaria di Cultura dell’Aquila. 27 maggio / 10 giugno.

Nel giugno del 1962 è selezionato per la Biennale nazionale del disegno “Premio Recoaro Terme” ed espone “Figure n. 1” (inchiostro e tecnica mista su cartoncino Fabriano, cm. 50×70), Figura n.2 (inchiostro e tecnica mista su cartoncino Fabriano, cm.50×70), Figura n.3 (inchiostro e tecnica mista su cartoncino Fabriano, cm.50×70) insieme agli artisti V.Adami, F. Casorati, G.Capogrossi, F. Gentilini, E.Greco, P.Guccione, R.Guttuso, G.Morandi, E.Morlotti, B. Saetti, T. Zancanaro, E. Scanavino ed altri.

È invitato alla mostra “Premio l’Unità” al Circolo della Stampa, Palazzo Pomponi di Pescara. Espone “Nudo” e gli viene conferito un premio. Nel catalogo della mostra il testo è di Nerio Rosa.

Partecipa alla Prima Mostra Regionale di Arti Figurative al Centro Sociale Giovanile di Avezzano. Espone “Nudo di ragazza” (tecnica mista su tavola), “Torso maschile” (tecnica mista su tavola) e gli viene conferito un premio.

 Il 1962 per Visca è sicuramente di notevole spessore formativo la Prima Rassegna Internazionale “Alternative attuali” Omaggio a Burri, allestita al Forte Spagnolo dell’Aquila da Antonio Bandera ed Enrico Crispolti che in seguito diventeranno suoi estimatori. Questa importante Rassegna insieme alle altre che seguiranno, forti delle presenze degli artisti nazionali e internazionali più importanti del momento, riescono ad aprire a Visca un orizzonte nuovo al di la dei confini di una città provinciale come L’Aquila e a dargli così la possibilità di capire con più lucidità e chiarezza la realtà artistica del momento. Visca nei primi anni sessanta è sostenuto con l’acquisto di opere da suo zio Niclo Allegri, di Torino, che in quegli anni era uno dei più importanti e conosciuti collezionisti italiani del secondo periodo futurista. Con lui, in occasione di alcuni viaggi a Roma, conosce Laura ed Enrico Crispolti, Filiberto Menna e Ferdinando Bologna che nella valutazione critica delle sue opere manifestano lusinghieri apprezzamenti e valide considerazioni per il suo futuro.

1963
Visca partecipa alla Quarta mostra d’arte dello studente, sezione pittura, al Palazzo delle Esposizioni a Roma. Espone “La fine dopo la morte” (tecnica mista su carta, cm. 100×136). La mostra è a cura del “Giornale D’Italia” in collaborazione con il Centro Nazionale per le Mostre d’Arte in Italia e all’estero. 16 febbraio / 15 marzo.

È presente alla Prima Mostra del Piccolo Formato a Sulmona.

Partecipa alla Quarta Mostra Regionale di Arti Figurative al Forte Spagnolo dell’Aquila. Espone “Nudo” e “Figura”. 21 aprile / 23 maggio.

A settembre, alla galleria Verrocchio di Pescara, con l’opera “Disastro sangue” vince insieme a Gerardo Lizza il primo premio ex equo L’Unità “Omaggio a Toto”.

Partecipa alla mostra “Sette pittori aquilani” alla Sala Eden dell’Aquila. Espone “Da un brivido di luce”, “Disastro sangue”. Settembre.

È invitato alla Mostra Nazionale del Piccolo Formato a Campo di Giove. Espone “Momento in corsa”, “Momento automobilistico”. 3 novembre 1963 / 8 gennaio 1964.

1964
Sandro Visca, alacremente impegnato nella ricerca pittorica, nel 1964 inizia a realizzare una serie di opere con materiali cartacei di recupero, stoffe, stracci, vinavil, smalti, ferri saldati ed altri elementi.

 Partecipa alla mostra “10 Pittori d’Abruzzo” al Centro Artistico della Gioventù Italiana a Genova, Espone“Disastro sangue – Attraversando una strada bianca”(tecnica mista su tavola, cm.97×127) “Oltraggio”, “Momento N. 1”, “Momento N. 2”, “Momento N. 3”. 14/25 marzo.

Visca insieme a Giuseppe Desiato, Ennio Di Vincenzo, Marcello Mariani e Giuseppe Pappa partecipa alla mostra “Gruppo 5” allo spazio espositivo Gran Derby di San Benedetto del Tronto. Espone “Pensando”, “Momento 1964”(tecnica mista su carta, cm.50×70), “Disastro C‑45”(acrilici e smalti su carta, cm.139×88), “Attraversando una strada” (tecnica mista su carta,cm.50×70) “Momento‑paura” (tecnica mista su carta, cm.50×70). 20 maggio / 5 giugno.

È invitato alla mostra “Abruzzo in cammino” a Pescara. Espone “Tutto il mondo”, “Da una finestra”. Nel catalogo i testi sono di Maurizio Calvesi e Nello Ponente. 3/14 giugno.

È invitato al Premio Sulmona delle Arti al Palazzo dell’Annunziata di Sulmona. Espone “Colpe di desideri” (tecnica mista, cm.100×90). Settembre.Il primo novembre apre con oltre quaranta opere la mostra personale “Visca” al Salone del Grand Hotel et du Parc dell’Aquila suscitando una forte disapprovazione da parte del pubblico locale.

«Sandro Visca è il giovane che accetta la scelta; quest’ultima tessuta sul filo di una ricerca di valori umani.
Il suo modulo pittorico si delinea, inconfondibilmente, dal ‘61: la visione è espressionistica. La figura umana è volutamente disgregata, decomposta nei suoi elementi; da vaste chiazze cromatiche zampillano sensazioni crude. Sono per lo più reazioni impresse gestualmente, senza tregua, ma sempre ricondotte ad una problematica di racconto, di situazione, di momento umano, di tragico evento. Il materiale giunge dagli organi di informazione — specie dalla stampa — e Visca non toglie nulla della comunicativa iniziale; semmai rielabora l’interrogativo che ha motivato — ma non spiegato — il disastro o la tragedia. Se la realtà si è manifestata mediante l’inchiostro nero di una fotografia stampata sul lucido di una carta patinata di settimanale a grande tiratura, sarà il ritaglio della foto a giostrare nel quadro. Nulla varrà a rendere più vibrante, scottante — e perciò meglio accessibile — il problema.
Una foto come scelta quindi e il riproponimento soggettivo dell’accaduto nell’opera compiuta. In un certo senso, l’artista funge da trait d’union tra fatto originario e reazioni che lo stesso suscita nell’uomo. Tom Wesselmann, stralciando elementi di insegne pubblicitarie e riproponendoli, non si comporta diversamente.
L’esperienza del collage, nata da una necessità di racconto il più ancorato possibile alla realtà, acquista, nei primi mesi del ’63, una consistenza più spiccatamente materica che delinea all’orizzonte possibilità di ricerca in direzione Neo‑Dada. È un lavoro che ricorda Schwitters, i grandi collage Merz. Ma qui la materia non ha valore di rifiuto come nei Merz e denota piuttosto una impossibilità ad agire di fronte all’evidenza.
Nei cicli — il lavoro si inquadra su un unico problema che interessa di volta in volta un incidente stradale, un disastro aereo, una tragedia in miniera ecc. — compaiono gli stracci, il nailon, i legni. Nel gruppo dedicato a tragedia in miniera — sei enormi cartoni sui quali sono state scavate delle finestre — il collage racconta, strozzato, attimo per attimo, la tragedia umana. È il frutto della cronaca che giunge rapida da ogni angolo della terra, è l’onda del respiro umano che impregna l’aria e la rende respirabile solo in funzione del grido disperato degli uomini vittime della loro stessa società.
L’atto di sfiducia è manifesto. La crisi interessa la società, l’uomo contemporaneo.
Visca si rende conto che la battaglia deve essere condotta con l’uomo. È il ciclo delle crocifissioni. Ogni opera diviene la sintesi di uno dei cicli precedenti: un momento si tradurrà nella frantumazione interiore e nella ricostruzione esteriore dell’uomo colpevole. Ne scaturisce un nuovo racconto, una nuova realtà figurativa; il tema religioso è in secondo ordine: le 14 stazioni del Calvario di Cristo sono 14 momenti umani carichi di dolore, di sensazioni, di reazioni a catena; una nuova presenza dell’uomo.
È ancora una ricerca condotta con il collage, il colore è vivo — quanto i problemi —, scola e si allarga in macchie; il segno è pulito e brillante e incide tangibilmente una storia umana rivissuta fino allo spasimo.
La figura però (bruciata, dilaniata, cristallizzata) accenna a dissolversi: è il gusto per la materia, la contemplazione della plasticità della stessa (un nuovo interrogativo di fronte alla realtà?), della necessità di una nuova componente spaziale, della composizione.
Visca ascolta in silenzio, avverte una pulsazione umana: è la sua stessa presenza che comunica e che scaturisce dall’opera che egli stesso ha forgiato, con i materiali che ha scelto.»

(Emidio Di Carlo, “Incontri Presenze” 30 Anni di pittura e scultura a L’Aquila, Edizioni c.c.3 m. – Testo tratto dalla presentazione al catalogo della mostra personale “Sandro Visca” al Grand Hotel et du Parc, L’Aquila, 1/15 novembre 1964).

 

Terminati gli studi, anche per una crescente incompatibilità con l’ambiente aquilano, Visca decide di lasciare la sua città e si trasferisce a Roma dove lavora anche come grafico’ per una società americana, fino al 1967.

1965
Visca partecipa alla Mostra Collettiva sulla Resistenza al Circolo Culturale Aquilano dell’Aquila. Espone “Momento” (tecnica mista). I testi nel catalogo della mostra sono di Ferdinando Bologna, Nicola Ciarletta, Enrico Crispolti e Giorgio Di Genova. 23 aprile / 10 maggio.

Partecipa alla mostra “Omaggio a Pirandello” al Centro Culturale Tre Marie dell’Aquila. Espone “Di momento in momento mutano le illusioni”(tecnica mista su tela, cm.80×60). La mostra è patrocinata dal Teatro Stabile dell’Aquila. 3 maggio / 6 giugno.

-E’ invitato alla Mostra Nazionale D’Arte Contemporanea di San Benedetto del Tronto. Espone “Momento” (tecnica mista su tavola, cm. 108×141). 25 aprile / 15 giugno.

Visca è invitato al Secondo Premio Sulmona delle Arti al Palazzo dell’Annunziata di Sulmona. Espone “Momento X-65.

1966
In questi ultimi anni la situazione artistica abruzzese è andata sempre più peggiorando e nella regione gli artisti sono divisi in due schieramenti.

Ciò a causa del controllo che alcuni gruppi più influenti riescono ad esercitare sugli enti delle singole città. Tale stato di cose ha fatto sì che non potesse avere luogo quel ricambio di forze che ci si era auspicati ai fini di uno sviluppo culturale più democratico della Regione Abruzzo. Per questi motivi in contrapposizione alla Biennale Aquilana, nasce la Rassegna “Realtà figurativa d’Abruzzo” e Visca insieme ad un gruppo di artisti ne diventa uno dei promotori più vivaci.

 Partecipa alla mostra “Realtà figurativa d’Abruzzo” al Palazzo Bonanni dell’Aquila. Espone “La sposa” (tecnica mista su tela, cm. 110×130), “Pensiero di un personaggio innamorato” (vernici acriliche e sintetiche su tela, cm. 70×100), “Norma” (tecnica mista su tavola, cm. 50×70), “Crocifissione” (vernici acriliche e sintetiche su tela, cm. 70×100). 17 settembre / 18 ottobre.

 In occasione della mostra “Realtà figurativa d’Abruzzo” Remo Brindisi acquista le opere di Sandro Visca: “La sposa” (tecnica mista su tavola, cm. 110×130) e “Crocifissione” (vernici acriliche e sintetiche su tela, cm. 50×70) per destinarle al Museo Alternativo “R. Brindisi” di Lido di Spina, Ferrara. In seguito farà parte della collezione del Museo anche l’edizione di grafica “Per un ligamento d’amore” (contenitore in legno, con inserto originale cucito sul coperchio, contenente tre serigrafie su alluminio satinato stampate in tiratura limitata da 1 a 50 (formato cm. 60x60x6,5).

 A ottobre è invitato al Terzo Premio Sulmona delle Arti al Palazzo dell’Annunziata di Sulmona. Espone “Momento”.

1967
Il primo gennaio Visca apre la mostra personale al Palazzo Cappelli dell’Aquila.

Espone quasi cento opere di piccolo formato, tra disegni e cartoni dipinti a tecnica mista.

Nel catalogo il testo è di Sandro Visca e Emidio Di Carlo.

Visca è invitato alla mostra “La nuova situazione dell’arte in Abruzzo”, Luco Dei Marsi ‑ Pescara. Espone “Pensiero di un personaggio innamorato” (vernici acriliche e sintetiche su tela, cm. 70×100), “Personaggio che pensa” (vernici sintetiche su tela, cm. 70×100). Nel catalogo i testi sono di Giorgio Tempesti e Margherita Abruzzese. aprile/maggio.

In agosto è invitato alla mostra “Proposte uno” al Palazzo del Liceo di Avezzano. Espone “Donna in scatola” (struttura in legno dipinto, tecnica mista e luce, cm. 50x7x80), “Regina in scatola” (struttura in legno dipinto, tecnica mista e luce, cm. 50x7x80). Nel catalogo i testi sono di Maurizio Calvesi, Giuseppe Gatt, Filiberto Menna, Achille Bonito Oliva, Margherita Abruzzese, Giorgio Tempesti, Cesare Vivaldi, Alberto Boatto, Marisa Volpi Orlandini, Nicola Pagliaro.

-È invitato al Primo Premio Città di Penne. Espone “Regina con fiori” e gli viene assegnato il premio acquisto dell’E.P.T. di Pescara. 21/27 agosto.

Visca è invitato alla Rassegna della Pittura Italiana Contemporanea – Omaggio a Spazapan – Aspetti della Pittura in Abruzzo alla galleria Arte d’Oggi di Pescara. Espone “Donna in scatola” (struttura in legno dipinto, tecnica mista e luce cm. 50x7x80). 7/27 ottobre.

1968
Nel 1968, sollecitato dalle insistenti pressioni di Giuseppe Misticoni che lo vuole come docente nel suo Liceo Artistico, Visca, anche se con molti dubbi, decide di lasciare Roma e i rapporti operativi con Milano e si trasferisce a Pescara dove nella Sezione Accademia del Liceo Artistico gli viene assegnata la cattedra di Discipline pittoriche.

A Pescara, lontano dai meccanismi del potere della critica e del mercato dell’arte, trova la misura operativa consona alla sua esigenza di essere e di esistere fuori da tutti gli schemi condizionanti del sistema e con forte determinazione elegge la città rivierasca a sua dimora.

In questo periodo conosce Antonio Bandera che si interessa al suo lavoro con molta attenzione. L’assidua frequentazione del critico giornalista del terzo programma culturale della Rai porterà Visca a consolidare le sue posizioni politiche in rapporto al suo lavoro e soprattutto a individuare con più attenzione le scelte operative per i progetti futuri. La loro amicizia rimarrà solida e duratura fino alla scomparsa di Antonio Bandera che avviene nel 1975.

 Dal 7 all’11 aprile partecipa alla mostra “Variazioni pittoriche su un tema xerografico” al Salone del Grand Hotel e del Parco a L’Aquila. Il curatore della mostra è Mario Falli.

È invitato al 2° Premio Città di Penne. Espone “Ragazza con fiori” e gli viene assegnato il secondo premio assoluto. La mostra è a cura di Remo Brindisi e Aleardo Rubini. 19 agosto / 8 settembre.

Lo stesso anno partecipa alla mostra “Premio Europa 68” a Milano.

In dicembre è invitato al “Premio San Fedele”, per giovani artisti italiani, presso la galleria San Fedele di Milano. Espone “Personaggio” (vernici sintetiche e acriliche su tela, cm.70×100)

1969
Sandro Visca, artista versatile in campi diversi di attività e di ricerca, come collaboratore artistico del Teatro Stabile dell’Aquila, in occasione della XXIV Festa del Teatro a San Miniato, realizza le scene di Alberto Burri per lo spettacolo “L’Avventura di un povero cristiano” di Ignazio Silone. Regia di Valerio Zurlini, musiche di Mario Zafred direttore dell’Opera di Roma.

In questa circostanza l’incontro con Burri si tramuta in una vera amicizia tanto che, anche per la passione che li accomuna per la caccia, si frequentano in lunghe settimane venatorie sia in Umbria che sulle montagne d’Abruzzo.

Nonostante Burri sia un uomo schivo e pieno di quel riserbo tipico degli umbri, spesso invita Visca a Casenove nella sua casa studio di montagna immersa tra secolari boschi di castagni. In questa grande casa dall’arredamento francescano,Visca trascorre insieme a Burri molti pomeriggi a parlare di pittura e di tecniche di caccia. Qualche volta Burri si fa aiutare da Visca a stendere fondi di vernice su alcune sue opere in corso di esecuzione e a preparare i pannelli di cellotex.

Nel 1978 Visca realizza un interessante servizio fotografico su Burri.

 -Visca partecipa alla Prima Mostra Nazionale di Pittura e Grafica “Città di Lanciano” e gli viene conferita la coppa del sottosegretario alla P.I. Sen. V. Bellisario.

-È invitato al 3° Premio Città di Penne al Chiostro di San Domenico. Espone “La sposa” (tecnica mista su tela, cm. 80×100). 21 settembre / 15 ottobre.

-È invitato al 6° Premio Sulmona delle Arti al Palazzo dell’Annunziata di Sulmona. Espone “Personaggio”. 14 dicembre / 6 gennaio 1970.

-È presente alla mostra “Colore d’Abruzzo” al Palazzo del Comune di Calascio.

1970
Sono di quest’anno le prime sculture di pezza cucite con materiali tessili e polivalenti che espone per la prima volta, dal 10 al 21 marzo, nella mostra personale alla galleria Arte d’Oggi di Pescara. Nel catalogo il testo è di Nicola Ciarletta.

«Intanto, mi piace per l’invenzione figurale e per quel nitore estremo dell’esecuzione: qualità, quest’ultima, che ravviva l’invenzione quanto più la cela, facendola apparire a poco a poco all’occhio indugiante.
Si tratta, infatti, di variazioni su un tema dato – ho qui, sul tavolo, le fotografie di alcune variazioni sul tema della dama di cuori –: l’invenzione, quindi, consiste nel dettaglio (una pupilla prende la forma del cuore; il colore del cuore cambia dal rosso al verde, come un semaforo stradale; i ricami d’un corsetto trovano un assetto tale, che il corsetto finisce per rassomigliare al volto della persona che l’indossa), e il dettaglio, di necessità, ambisce a farsi scoprire. Dunque, il nitore dell’esecuzione è qui la via obbligata per una scoperta lenta e furtiva.
Ma, ecco, già vado dicendo ciò che m’interessa. La scoperta lenta e furtiva non è altro che il focalizzarsi dell’attenzione, la quale, come si focalizza, fa diventare il dettaglio più importante dell’intero.
È proprio quello che si cerca in una variazione su tema. Vorrei dire, valendomi di una frase famosa di Picasso, che qui si fa in modo che si trovi prima ancora di cercare. Trovare, ora questo ora quel particolare, che forma il tessuto cangiante della metamorfosi: trovarlo senza cercarlo, in virtù d’una semplice ostinazione degli occhi.
Intanto, questa matissiana dama di cuori, che a volte appare tra le lame ingigantite di un tagliasigari – sorta di ghigliottina che sta per tagliarle il collo a rocchetto – è un oggetto: è una pupazza. (Non più pupazza, del resto, di certe donne di Picasso: ricordate quella che ha per cappellino un piatto con le stoviglie sopra?).
Visca sa, da moderno, che l’uomo oggi (e per uomo – non serve dirlo – s’intende anche la donna) è «reificáto», è diventato cioè mutuabile con gli oggetti che adopera. (questa mutuabilità dell’uomo con l’oggetto ha avuto il suo primo raffiguratore – mi si perdoni l’insistenza – in Picasso). Ma Visca sa pure che in antico un artista figurativo era considerato una fabbricante di oggetti, e che assai lunga è stata la sua strada per arrivare ad essere considerato – alla pari con i poeti – un imitatore (e cioè, se si rifletta, un interprete) dell’azione umana (la quale richiede sviluppo e movimento). È, dunque, sulla base di questo doppio ordine di consapevolezze, che Visca giunge a concepire (ed è chiaro che in lui confluiscono le istanze delle varie tendenze che sono in giro: pop, op e via dicendo) la pittura, che è visione (e vorrebbe esserlo di azioni umane), come teatro, che è ed è sempre stata visione (lo denuncia la parola stessa), proponendosi fin dalla sua origine di rendere presenti e visibili delle azioni umane già compiute. Talché, a un certo punto, le variazioni della pupazza di cuori diventano vere pupazze di stoffa, e, «montate» in posizioni varie e tra oggetti vari (fotoréclames, mobili e stesse loro immagini originarie), vengono fotografate ed esibite di seguito, l’una dopo l’altra. Ne può risultare un effetto caricaturale e allucinatorio, alla Godard (il regista cinematografico più vicino alle origini del teatro).
No, non chiamerei Bay a modello: Bay è malizioso, non teatrale. Però consiglierei a Visca di dedicare maggior cura alla scelta dei mobili (specie le sedie), che – a parer mio – devono essere verissimi quanto più veri possibile e offerti all’uso consueto, ma tanto veri appunto, da sembrare delle misteriose finzioni, mentre le pupazze – afflitte come dei saltimbanchi in riposo – crescono nel caricamento iperbolico della loro realtà.»

(Nicola Ciarletta, “Quello che m’interessa nella produzione di Visca…”, Presentazione nel catalogo della mostra personale “Visca” alla galleria Arte D’Oggi di Pescara, 10/21 marzo 1970).

 

”Non si può parlare più di pittura senza che il termine investa i valori più disparati, da quelli sociali ed estetici, a quelli più propriamente compositivi, armonici quindi e soggetti a modificarsi per meglio centrare il punto emozionale legato molto spesso alla casualità. Di fronte alla pittura di Sandro Visca si affollano nella mente nomi e situazioni che non possono, tuttavia, costituire un confronto ma appena una analogia. Un segno così elementare, come risulta dagli schizzi e dai quadri, non può che essere carico di esperienze rivissute al limite delle problematiche più ardue. Nicola Ciarletta esclude il nome di Baj, parla di Picasso – ma per inciso –, poi ci torna su. Gli è sfuggito Klee, probabilmente, ma ha capito Visca e ciò che egli intende dire con le sue “pupazze” proposte prima su tela, poi costruite e collocate in uno spazio dove, strano a dirsi, sembrano sopraffatte dalle loro matrici incorniciate e tendono a rientrarvi, quasi le sedie, il tavolo, il leggio, tutto quanto è stato predisposto per loro, fosse inutile e superfluo, eliminato dal contesto del discorso volenterosamente avviato su due piani e poi tornato ad essere unidimensionale. Si tratta, in definitiva, di un tema variato e vario, non monotono, estremamente elegante, a volte bizantino. Vi è, nel fondo, una certa irrisione della realtà, smorzata dalla tristezza dei pupazzi veri, autentici Golem svitalizzati o sagome afflosciate in un museo delle cere non refrigerato a sufficienza. I merletti, i bottoni, le dorature e le argentature, insieme al simbolo del cuore posto negli occhi, nella bocca, sulle gote, ai piedi: tutto un materiale che fa pensare a un Matthew‑Gregory Lewis divenuto pittore con qualche secolo di ritardo e passato attraverso il vento di certa spensierata liricità dei tempi tranquilli. La trovata, poi, di far entrare in scena – e diciamo scena in senso teatrale, perché (e concordiamo con Ciarletta) la mostra si predispone e qualifica in forma “recitativa” – due giovani donne col volto dipinto come le “pupazze” che nell’angolo della Galleria “fanno salotto”, e averle vestite, magari più sobriamente, dei loro doppi, è una forma di rivincita sulla unidimensionalità. Lo spazio, in tal modo, è risultato occupato, qualcosa si è mosso, è scattata la molla dell’happening contenuto nel limite consentito dall’ambiente. Anche Visca gioca la sua parte tra le sue opere. A suo agio nel mondo che ha creato, gioca sul tema scoperto con stoffe e colori in attesa di passare dalla stanza che si trova nello specchio in quella dimensionale della realtà, magari inventata.»

(Benito Sablone, Galleria d’Oggi: Sandro Visca, “NAC”, Milano, 1 aprile).

 

Il 3 ottobre apre la mostra “Sandro Visca” alla galleria Il pozzo di Città di Castello dove espone sculture di pezza, tele dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti. Nel catalogo della mostra il testo è di Lamberto Giancarli.

Dal 24 al 31 ottobre apre la mostra “Sandro Visca” alla galleria Zodiaco di Assisi. Espone sculture di pezza, tele dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti. Nel pieghevole della mostra il testo è di Lamberto Giancarli.

A gennaio partecipa al “Premio Torino” a Torino.

Visca è invitato alla mostra “Immagini del nostro tempo” al Museo della scienza e della tecnica di Milano. Espone “Personaggio”. 22/31 maggio.

È presente alla mostra “Artisti contemporanei”, Presenze abruzzesi 1970, a Ortona dei Marsi. Espone “Personaggi” (tecnica mista su tela, cm. 120×100). 13/23 agosto.

Partecipa alla mostra “Arte 70 a Calascio” al Palazzo del Comune di Calascio, 14 agosto / 5 settembre.

Visca è invitato alla 24a Mostra Nazionale F.P. Michetti a Francavilla al mare. Espone “La sposa” (tecnica mista su tela, cm. 120×100), “Ritratto di un personaggio che pensa” (tecnica mista su tela, cm. 100×120), “Personaggi 70” (tecnica mista su tela, cm. 120×100), “Personaggio” (tecnica mista su tela, cm. 100×120). La mostra è a cura di Marcello Venturoli. 1 agosto / 1 settembre.

Visca è invitato al 4° Premio Città di Penne al Chiostro di San Domenico di Penne. Espone “Personaggio”. Il testo in catalogo è di Giammario Sgattoni. 30 agosto / 27 settembre.

Partecipa alla mostra “Bazar” alla galleria Poliantea di Terni. 12 dicembre 1970 / 3 gennaio 1971.

In dicembre è presente alla Mostra Nazionale di Pittura e Grafica al Palazzo Suffoletta di Roccaraso.

1971
Il 18 maggio si inaugura alla Saletta Filippo Palizzi di Vasto la mostra personale “Visca”. Espone tele dipinte a tecnica mista e disegni.

«Un personaggio, un personaggio-uomo o un personaggio-donna che siano e rimangano tali, non l’astratta idealità che rincorra magari un passato evanescente, ma s’appunti piuttosto sull’incombenza del presente, il suo urgere come attitudine emozionale: ecco il tema delle opere di Sandro Visca, via via attuate all’interno di quel processo di assestamento visivo dove i dipinti attuali restano immagine ed emblema dell’arabesco della vita: le figure che si stagliano sui fondi opachi e s’intrecciano come parole nella traccia illusoria dello spazio sembrano risalire le maree del tempo fino ad assumere le cadenze di un’inquieta esperienza esistenziale. Non è, questo, il vorticoso grafismo che avvolge e svolge il personaggio svagato sulla tela come l’ombra di un silenzio? Non sono le foglie che si fanno cuori disegnati su tronchi immaginari? Il cuore; un sogno strano si sudore e di salmastro, forse emaciato come uno sfatto acquarello. Nel colore che varia si sente il recupero alla sua parvenza meno labile. Lo spazio viene ridotto a filigrana, il tessuto materico ondeggia la sua mimica di ritmo fra la splendente vivacità tonale. La mostra punta dunque sul personaggio, e quale che sia: anche una sposa dal pensiero lontano (“una sposa orientalizzante impettita di fiori d’argento”, annotava Giammario Sgattoni). Anche una figura femminile può mantenere una sua icasticità, magari calata fra i simboli del moderno meccanismo tecnologico, in un’accostamento ironico, semmai, ma riscattato dai misteri caotici di quella perfezione di vita, e verso una bellezza fredda e poetica».

(Aleardo Rubini, testo nel pieghevole della mostra personale “Visca” alla Saletta Filippo Palizzi di Vasto, 18/30 maggio 1971).

 

Il 1 giugno apre la mostra personale “Visca” al Centro Santelmo di Salò. Espone una serie di sculture di pezza insieme a tele dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti. Nel catalogo il testo è di Benito Sablone.

Il 10 luglio apre la mostra personale “Visca” al Museo Civico di Penne. Espone tele dipinte a tecnica mista, cartoni dipinti e strutture polimateriche. Nel pieghevole della mostra il testo è di Aleardo Rubini.

In aprile partecipa alla mostra “Omaggio alla resistenza” al Palazzo del Liceo di Avezzano.

È presente al Premio Nazionale “Bice Bugatti” a Nova Milanese, Milano.

Visca è invitato al 13° Premio Vasto a Vasto.

È invitato alla XXV Mostra Nazionale F.P. Michetti a Francavilla al mare. Espone “Trittico con nuvoletta d’oro” (tecnica mista su tela cm. 170×132), “Personaggio compresso” (tecnica mista su tela, cm. 70×150) e due sculture: “Personaggio con appendice nera” (stoffe cucite e imbottite in poliuretano, cm. 85×230), “Personaggio” (stoffe cucite e imbottite in poliuretano, cm. 50×245). Nel catalogo della mostra i testi sono di Umberto Russo, Luigi Marcucci, Carlo Barbieri, Luigi Lambertini. 31 luglio / 1 settembre.

«Dal gusto delle rappresentazioni lineari e sintetiche, Visca è giunto a dare un contenuto non più estetizzante alle sue «figure» che parlano, ormai, un linguaggio maturo, ironico e complesso di cui il colore e il segno, il decorativo e il floreale (non ci si spaventi dei due termini) altro non sono che l’eccentrico alfabeto. L’evidenza della maturità dell’artista sta nel fatto che egli è riuscito a svincolarsi dalle «invenzioni», da quelle continue «trasformazioni», cioè che sono il limite di coloro (e sono tanti) che non riescono a parlare senza aver prima ascoltato altre voci, a scrivere senza aver letto una pagina d’altri, a dipingere senza aver «assorbito» — quasi sempre mentalmente — le soluzioni di chi veramente opera nell’arte e ne intende senza equivoci la funzione dinamica nella civiltà. A me pare che gli emblemi di Visca, nel loro ripetersi e nel loro variare (ma nel variare non fanno che arricchirsi, diventano sempre più se stessi) siano veramente esemplari perché irridono il mondo, mettono in imbarazzo lo spettatore — altri direbbe il fruitore, ma per dei «personaggi» il termine spettatore si addice meglio —, funzionano da revulsivo nei confronti del conformismo — e del conformista — che talvolta ostenta perfino la logora etichetta dell’avanguardia borghese.
La verità è che queste «pupazze» non vogliono essere prese sul serio e minacciano continuamente di ribellarsi al suo stesso creatore per la forte carica ironica che posseggono: diventano, così, anche estremamente serie e drammatiche: ma di rimbalzo, in un secondo tempo, dopo che hanno fatto tabula rasa d’ogni residuo mito estetico. Perché, in definitiva, la «pupazza» è l’anti mito che si colloca nella nicchia vuota per mostrarci che la divinità non c’è mai stata o è sostituibile, oppure è da cercare altrove, magari dietro la candida e divertita ostentazione sessuale o il freddo cuore di stagnola dorata.»

(Benito Sablone, testo nel pieghevole della mostra personale “Sandro Visca” al Centro D’Arte Santelmo di Salò, 1/18 giugno 1971).

 

Partecipa alla mostra “Il giornale nell’arte” alla libreria Niccoli di Pescara promossa dall’Associazione della Stampa Pescarese e gli viene conferito il riconoscimento della Gazzetta del Popolo di Torino. 4/12 settembre.

Partecipa alla mostra “Carnemolla – Marletta – Paolinelli – Visca“ alla galleria Nuova dimensione di Pescara.

In agosto è presente alla Prima Rassegna di pittura e Grafica a Santo Stefano di Sessanio. Espone “Personaggio compresso” (tecnica mista su tela, cm. 70×150).

Partecipa alla mostra “Calascio 71” al Palazzo Civico di Calascio. 1/22 agosto.

Visca è invitato alla V Mostra d’Arte “Città di Penne” al Chiostro San Domenico di Penne. Espone “Personaggio con cuore d’oro” (tecnica mista su tela, cm. 70×100) e una scultura polimaterica. 5/30 settembre.

1972
In questo periodo, sempre collaboratore artistico del Teatro Stabile dell’Aquila, entra in contatto con Carmelo Bene che produce alcuni suoi spettacoli con il T.S.A. e inizia tra loro una frequentazione di profonda familiarità insieme a Gino Marotta, Luciano Fabiani, Paolo Scipioni e altri cultori del Teatro.

Nell’anno 1971/1972 il giovane Andrea Pazienza si iscrive alla Sezione Accademia del Liceo Artistico Statale di Pescara dove incontra Visca che è titolare della cattedra di Figura Disegnata. L’atteggiamento provocatorio del giovanissimo Pazienza nei confronti di Visca è subito così pungente che, anche per l’affetto e la stima che gli porta, diventerà la motivazione forte per la realizzazione di centinaia di caricature e storie esilaranti. Il protagonista dei disegni realizzati da Pazienza tra il 1971 ed il 1973 diventa il suo insegnante ed è proprio a questo biennio che risalgono le prime storie disegnate da  Pazienza su Visca, con alcune eccezioni risalenti agli anni successivi che testimoniano un rapporto tra i due che non si è mai interrotto nel tempo, come dimostrano le brevi apparizioni su Pentothal e Zanardi. Infatti sono di questi anni le prime storie sceneggiate “Don Viscotte della Mancia”, “Visco Little”, Visk8 il polizziotto” e tante altre. Dall’archivio Pazienza risulta che Sandro Visca è stato il personaggio vivente più disegnato da Andrea Pazienza.

Visca è invitato alla 1a Mostra Nazionale “Arte d’Oggi” alla galleria Arte d’Oggi di Pescara e gli viene conferito un premio acquisto per l’opera “Personaggio all’italiana”. 30 gennaio / 20 febbraio.

È presente alla Mostra del Centro G4 di Teramo. Espone “Esorcismo per una pioggia nera” (tecnica mista su tela, cm. 100×120).

Partecipa al “Premio Borgosesia” a Vercelli.

È presente ad una mostra di autori contemporanei alla galleria “Diomedea” a Termoli. 24 giugno / 20 luglio.

È invitato alla 1a Rassegna Internazionale “Aspetti dell’Arte Contemporanea” a Montesilvano. Espone “Esorcismo per un malefizio d’amore” (cartone dipinto, cm. 70×100). 22 agosto / 5 settembre.

Partecipa alla Collettiva di pittura al Centro d’Arte “Il Cubo” di Lanciano. 26 novembre / 10 dicembre.

Visca è invitato da Lorenza Trucchi alla mostra “Estensione 72” alla Casa del Mantegna di Mantova. Espone “Nascita di un personaggio” (tecnica mista su tela, cm. 100×120), “Malefizio per una pioggia nera” (tecnica mista su tela, cm. 100×120). 20 novembre / 5 dicembre.

Il 24 luglio apre la mostra personale “Sandro Visca” al Centro Culturale Nuova Dimensione di Pescara. Espone strutture polimateriche, tele dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti.

 

«Dal 24 giugno tiene cartello presso gli eleganti locali del Centro Culturale “Nuova Dimensione” di Pescara la personale di Sandro Visca.
Vernice affollatissima la sera del 24 giugno. Presenti tutti i pittori pescaresi e molti colleghi convenuti dalle altre città abruzzesi. Tra la nutrita schiera di aquilani, Luciano Fabiani, Commissario Governativo dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila.
Personale impegnatissima quella attuale di Sandro Visca, con opere che erano destinate a gallerie piemontesi e lombarde e che fortunate coincidenze di lavoro dell’artista hanno permesso agli abruzzesi di veder riunite tutte insieme in una personale destinata a segnare, non solo per Sandro Visca, un memento magico per l’arte figurativa in Abruzzo.
E moduli simbolici e magici pervadono tutta la rassegna.
A ventotto anni Sandro Visca rompe di nuovo il ritmo di una produzione già felicemente affermata e, evidenziando profonde e sofferte ricerche, oggettivizza e anticipa alcuni motivi-base, certamente destinati a generalizzarsi nell’uso e nel costume.
Alla base, quindi, anche di questa stagione artistica del giovante artista aquilano, il tentativo di imbrigliare la crisi dell’uomo contemporaneo e di offrirgli un’ancora, un motivo, una giustificazione.
Certo nell’attuale stadio della produzione di Visca sia i tempi della crisi, sia la soluzione prospettata, diventano chiari per pochi nonostante l’uso di accorgimenti, come l’incorniciatura grezza dei pezzi e la riproposizione dei moduli simbolici in elegantissime teche. Su tutta la produzione è evidente la tensione dell’artista a rendere il monologo chiaro sia per i critici sia per la massa. Ma al primo impatto con le opere esposte appare chiaro che, per ora, solo il primo obiettivo è stato felicemente raggiunto. Risultato, comunque, da non sottovalutare, anzi.
A ventotto anni, quindi, Sandro Visca ha ulteriormente verticalizzato e culturalizzato il suo messaggio artistico, cogliendo immediati consensi. Del resto, nonostante la giovane età, Sandro Visca ha alle spalle un lungo cammino artistico e quello attuale è solo un “momento” di Sandro Visca pittore.
(… )
Sono quindi oramai lontani i tempi in cui Sandro Visca, giovanissimo, affidava ad un messaggio personale il compito di illustrare la sua visione del mondo. Nell’attuale elegantissimo catalogo l’illustrazione della produzione è affidata a pezzi tratti da vari singolarissimi testi: “Dalla Magia naturalis di Giambattista Della Porta”, da “Jeannot, Livre de colportage”, dai “Segreti magici raccolti dal Cousin”, da “Etteila, citato da René Schwaebré”, da “M. Tiers, 172″, da “Le Loyer, 830”, da “Tract des superst. M. Thiers, t. I, 366, 367”, ecc.
L’elencazione non spaventi, Sandro Visca, come sempre, ama l’umanità, cerca di capirla, cerca di renderla con l’eleganza e la perizia consueta; come un tempo non lontano amò disgregarla per ricomporla; come un tempo non lontano amò sondarla per capirla.
Quindi anche l’attuale ricerca non è fine a se stessa, come un tempo non era fine a se stessa la ricerca che lo portò al ciclo delle “crocifissioni”, come successivamente la ricerca lo portò al modulo ricorrente della donna stilizzata — la donna Visca – come primavera, del segno e del colore, come fonte prima, ultima, perenne dell’esistenza.»

(Fausto Ianni, Sandro Visca a Pescara, “L’Aquilasette”, L’Aquila, 6 luglio 1972, p. 2).

 

«Se Sandro Visca potesse, sono certo che sarebbe felice di portarsi a spasso, di animare, in una teoria caricaturale e allucinatoria della nostra umanità, quelle sue pupazze di stoffa con i corsetti e le pupille piene di cuori merletti e bottoni, con stampata sul volto la fissità crudele dei fantocci-dei (divinità-fantoccio) della nostra società tecnologica, con la sfinita tristezza di esseri sbigottiti di esistere, con la tragicità ridicola e ironica dell’uomo d’oggi che, condizionato dalla società dei consumi, si riveste solo dei segni dell’esteriorità e perciò si ripropone ogni volta drammaticamente simile a se stesso e agli altri, spersonalizzato, ridotto al ruolo di manichino.
Farli muovere, con al guinzaglio i neri cuori di pezza in libertà condizionata; toglierli dalla loro statica fissità per avere il disegno preciso, la rappresentazione della nostra umanità, come Visca chiaramente la intende. Ecco, so che il pittore aquilano — da 4 anni operante a Pescara — aspirerebbe a questo magico sbocco della sua fatica come a culmine artistico e umano. Lo so perché ho colto questa sua aspirazione liberatoria e inconscia in un album di fotografie, nel suo studio-deposito, dietro il mercato coperto, a due passi da casa mia, a poche decine di metri dalla Galleria Nuova Dimensione, dove ora espone la sua più recente produzione.Entrare nello studio di Visca è come mettere piede in un luogo sacro dissacrato. Le finestre sono tutte sbarrate e c’è, nelle stanze, umore fresco, silenzio ombroso illuminato dal lampeggiare dei colori vividi dei quadri, dallo sciabolare freddo e crudele degli occhi delle pupazze che ti guardano da ogni dove, appoggiate alle pareti come statue demistificate di santi nelle sacrestie. L’atmosfera è possessiva; è interiore e allucinatrice quel tanto da indurti alla confidenza, cordiale, aperta, senza reticenze. Ed è proprio sfogliando un album di fotografie che scopro ciò che futile scherzo non è, ma l’inconscia segreta aspirazione di Visca ad animare i suoi personaggi: riprodurre, per una ironia disincantata e liberatrice, sui volti veri della moglie Vanna e dell’amica di lei Carla, la maschera delle sue pupazze. E scopro, prima ancora che, sul filo delle sue parole, possa io dipanare il senso e gli intenti della sua arte, come in questo sogno estremo Visca affidi il magico significato di un ritorno dell’uomo alla libertà di essere se stesso, di caratterizzarsi, di rifarsi individuo distinto.È questa una libertà cui Visca mira e si avvicina anche attraverso tutto il processo tecnico evolutivo della sua operazione artistica. Così, prima, l’immagine è soltanto dipinta sulla superficie della tela; poi, acquista dimensioni di scultura cui la sostanza che la compone — la stoffa — dona movenze, morbidezza e flessibilità umane. Il valore emblematico pupazzo-uomo è evidente, come chiara è la volontà, per liberare l’uomo, di enucleare il manichino dalla fissità statica delle due dimensioni facendolo vivere fuori della cornice immergendolo in una dimensione più umana, quella spaziale del movimento. Un movimento che sia completo, autonomo, possibile solo per effetto di una magia che Visca né altri potranno mai compiere, ma alla quale il pittore si potrà affidare con la speranza, la stessa che è riposta nella simbologia dei suoi cuori e che ora lo porta a indagare nel mondo oscuro e palpitante delle credenze magico animistiche della nostra società, in quel mondo irrazionale di presentimenti, dove l’uomo pare possa trovare un ultimo, sicuro rifugio e il cuore, solo questo, riprendere il sopravvento e rifarsi protagonista. Il cuore, i cuori di Visca tornano così, anche se prigionieri di una teca-reliquiario rappresentando ogni atto della magia solo una evasione religiosa dell’uomo moderno e non un riscatto e, nello stesso tempo, avendo valore di preziosi ex voto per quella sorta di grazia che il cuore ha ricevuto in questo suo nuovo recupero. E tornano, questi simboli, incombenti nell’attività artistica di Visca, con tutta la forza del loro valore emblematico, che è elemento esso stesso di magia. Dal ’64 che li troviamo in ogni suo quadro: cuori soli, piccoli, smisurati, come foglie o pioggia in serie, moltiplicati, rossi, neri, verdi, nelle pupille dei personaggi a parlare un linguaggio crudele, o fissati sui corsetti per il recupero di un sentimento, o legati al pupazzo da un lungo cordone ombelicale a dirci che non ne possiamo fare a meno; e tutti, tutti questi cuori, ripetuti, spezzettati, dipinti o di pezza, altro non rappresentano che un pezzetto della dimensione umana, simboleggiano le nostre difficoltà a vivere senza sentimenti, sono la misura di una fiducia di Visca nella salvezza sua e dell’uomo. SempreQuesto cuore, Visca se lo porta dall’infanzia. Il suo recupero attuale è recupero culturale della sua terra: di certi umori, di certa poesia popolare, della dimensione umana della sua gente. Ma è anche recupero della infanzia, in maniera direi totale, di leggende e sortilegi che riempiono oniricamente le lunghe serate d’inverno vissute da bambino a L’Aquila. Così come alla sua infanzia, alle bambole di pezza della sorella, deve la forma delle sue pupazze di stoffa; e alla inconscia presenza di un suo disegnare, nell’età infantile, si rifanno i loro colli a rocchetto, le facce gonfie di luna, gli occhi crudeli, i segni schematizzati e ingenui dei volti. Una semplicità, un candore, una schiettezza da inesperienza inconscia, non voluta. A 4, 5, 6 anni doveva essere più smaliziato; come sapiente, accorto e padrone dei suoi mezzi pittorici è stato prima del ’64, nel periodo delle crocifissioni. È certo notevole la presenza attuale nell’arte di Visca di esperienze infantili, di elementi di un mondo che danno un candido vigore poetico alla sua produzione e la stemperano delle inevitabili durezze polemiche per la condizione dell’uomo nella società consumistica. La campana del gioco del “c’è” è lì, nella struttura compositiva di buona parte dei suoi quadri; i bottoni e le madreperle della madre, con i quali giocava da bambino, sono finiti sui corsetti delle pupazze, messi a cerchi concentrici come quelli graffiti con il gesso dei piccoli scolari sulla lamiera arrugginita di una vecchia via dell’Aquila e che tanto lo colpirono con gli altri segni misteriosi di una ancestrale manifestazione grafica. E ancora, la crudeltà tipica dell’infanzia trasferita negli occhi cattivi dei suoi personaggi; il cucire i vestiti alle bambole della sorella Mariacristina, che rivive nella realizzazione delle pupazze, nei suoi cuori trapunti a macchina, nei merletti e pizzi cuciti sui corpetti, o ai bordi dei zinali; come le perline e gli spilli e gli abatini contro il malocchio tornati sotto forma di simboli magici nelle teche in cui Visca ha rinchiuso quel suo cuore, che è cuore della sua infanzia ma anche della sua terra. Perché non si perda.»

(Pasquale Scarpitti, I cuorimagia di Visca, “Il mezzogiorno”, Pescara, 8 luglio 1972, p. 20).

 

-Partecipa alla Mostra d’Arte Moderna alla galleria “Il pozzo” di Città di Castello. 16 dicembre 1972 / 8 gennaio 1973.

1973
-La mostra personale “Sandro Visca” apre il 18 gennaio alla Galleria Pace di Milano.

Espone quasi cento opere tra sculture di pezza, strutture polimateriche, tele dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti.

-L’8 febbraio la stessa mostra personale di Milano è replicata alla galleria Pacedue di Torino. Le due mostre sono presentate in catalogo con lo stesso testo di Lucio Fraccacreta, sociologo della Fondazione Agnelli

«1. Se è vero che alcune ultime esperienze interdisciplinari potrebbero costituire lezioni utili per l’interpretazione del significato contestuale di un’opera d’arte figurativa, è pure vero che mancano le occasioni nelle quali metterle a disposizione per il confronto reciproco con i sistemi di verifica correnti.
Perché, allora, l’opera di Visca sembra poter anche rappresentare un’occasione di questo tipo? A quali condizioni prossime future, l’opera di Visca potrebbe polarizzare l’attenzione di esperti di settori diversi. Di fatto, questa elezione dell’artista pittore e delle opere figurative a luogo privilegiato di riscoperta e sperimentazione per nuove scienze, si è già verificata una volta. Alle origini della psicoanalisi, Freud ha scoperto il mondo interno dell’uomo proprio nell’artista: fino al punto di immaginare, a sua volta, ipotetici sogni di Leonardo da interpretare poi con la psicoanalisi.
Da un altrettanto ipotetico parallelismo tra le ricerche sull’evoluzione prospettiva della situazione socioculturale contemporanea, da un lato, e le ricerche nell’arte figurativa, dall’altro, si ricava una discriminante comunque significativa. La discriminante tra pittori che, oggi, segnalano “solo” la fine di un’era socioculturale, e gli “altri”: quelli che perseguono una ricerca volta o a scoprire i modelli occulti, impliciti, del linguaggio e a tradurre in codici le esperienze da trasmettere sul futuro sistema umano; o a prevedere, per anticiparli adesso, i sistemi di esperienza e conoscenza futuri.
Visca sembra essere tra questi ultimi; o, meglio, tra i primi “altri”.
«2. Sarebbe fuori tema, in questa sede, costruire per l’opera di Visca un’interpretazione del suo significato contestuale (un’interpretazione ricavata dal riferimento all’evoluzione socioculturale contemporanea ed al ruolo dell’arte figurativa).
In Visca autore c’è però probabilmente l’intenzione di presentare la propria opera nello “shopping center” di oggi; quasi come se questa sua opera provenisse dall’estrema periferia di un impero la cui tecno‑logia verticale fosse tale da provocare ai suoi margini interni il distacco di isole neomedievali. Isole personali, cioè, nelle quali la concentrazione del semi‑isolamento è in parte coatta ed in parte vocazionale. Semi‑isolamento, infine, nel quale la condizione psico‑culturale è in qualche senso quella di una specie particolare di parapsicologia e di magia: quelle ricavate dal ritorno autoimplosivo del più occulto subconscio “regionale” (originariamente non periferico), smosso in profondità dai sommovimenti che gli epicentri “civili” provocano nel sottosuolo collettivo.
In questo senso, dunque, può essere estremamente significativo valutare anche l’opera di Visca in funzione del contesto socioculturale dell’arte figurativa. Proprio Perché Visca appare quasi come un “barbaro” che conduce la sua conquista – la propria opera –, appunto nel centro del sisma nel quale l’opera dev’essere agita e proclamata come conquista.
«3 .
Nella pittura contemporanea la linea d’evoluzione lungo la quale passa il “ritorno alla magia”, è quella stessa che dovrebbe forse essere chiamata della scoperta del mondo interno‑uomo. Al momento in cui Freud teorizzò il “disagio della civiltà”, corrispose nella pittura la fuga dalla realtà, che condusse alcuni pittori, attraverso l’astrazione progressiva, altrove.
Con Mondrian scompaiono le figure che rappresentano gli oggetti e le situazioni del mondo reale.
Con De Chirico comincia l’apparizione, la scoperta delle figure del mondo interno. Da quel momento cresce l’acquisizione sul nuovo linguaggio con cui si viene rappresentando il mondo dell’inconscio individuale e delle masse: nel 1943 ormai si parla di “visione magica della vita”, e pittori come Pollock, Rothko, Tobey e gli altri dell’espressionismo astratto USA, sono consapevoli perfettamente delle origini che precedono di venticinque anni i loro temi di lavoro.
«4. Il linguaggio magico di Visca tradisce origini meno databili e più remote: quindi più sotterranee e meno autoconsapevoli. Il medium culturale di Visca è però più diretto e coerente con le proprie origini, di quanto non lo fosse la filiazione dalla cultura europea per gli espressionisti astratti USA.
D’altronde l’opera di Visca impone molti rinvii “colti” al sistema di conoscenza occidentale contemporaneo. Vi si può osservare, infatti, una complessa ricomposizione di elementi, per dir così, mituali (la femmina, il corpo biologico, il sottosuolo, ecc.) con elementi rituali (la scomposizione e la composizione, la miniaturizzazione di certi segni cifrati provocata da una sorta di horror vacui, un processo di astrazione progressiva cui vengono sottoposti i singoli oggetti sin quasi alla distillazione elementare, ecc.).
Dall’opera di Visca appare alla fine un nuovo modello di culto: gli oggetti rappresentati sono contemporaneamente e reciprocamente “interni” ed “esterni”.
Nel mondo esposto in queste opere, la testa, il cuore, il sistema neurovegetativo, l’utero, la nuvola, il sottosuolo, il fuoco, gli ori, gli argenti, i rossi, acquistano un valore sintattico complesso che deriva loro dal processo alchemico, cioè di trasformazione del profondo del ricercatore‑osservatore attraverso la ricerca stessa.
Jung (psicologia e alchimia); Klee, Klimt, Hundertwasser ecc.; le tecniche dadaiste del collage e dell’“assemblage”, riprese nell’ultimo dopoguerra dagli informali “materici” (es. Burri) e del “ricalco” oggettuale, anch’esso d’origine Dada, adottato sul finire degli anni cinquanta dai “popartisti” USA (Warhol): ecco gli autori e le esperienze che mi si propongono immediatamente per istituire possibili associazioni all’opera di Visca. Certo, sono citazioni superflue in una presentazione che non approfondisce la lettura dell’opera in chiave esegetica. Tuttavia, mi è sembrato lecito prospettarle come ipotesi da verificare in un’ulteriore (auspicabile) indagine conoscitiva sulla ricerca di Visca (comunque meritevole di essere seguita), che si prefigga un approfondimento adeguato dei suoi significati più complessi.»

(Lucio Fraccacreta, “Il metalinguaggio magico di Visca” – Il viaggio attraverso l’alchimia dell’uomo interno, testo nel catalogo della mostra personale alla galleria Pace di Milano, 18 gennaio / 4 febbraio 1973).

 

-È invitato al 5° Premio Biennale Silvio Dodaro, per giovani artisti del mezzogiorno, alla Pinacoteca Provinciale di Bari. Espone “Cuore nero sulla montagna magica” (tecnica mista su tela, cm. 100×120), “Personaggio verde sotto la campana fatata” (tecnica mista su tela, cm. 100×150). 7 febbraio / 3 marzo.

-È invitato alla XV Triennale Internazionale di Milano, Sezione Italiana “Lo spazio vuoto dell’habitat”. Espone “Paesaggio” (struttura polimaterica con materiale volatile azionato da motore ad intermittenza, cm. 550x35x250). L’ordinamento e l’allestimento del padiglione italiano è a cura di Eduardo Vittoria. 20 settembre / 20 novembre.

-Visca insieme ad altri artisti quali Gabriele Amadori, Enrico Bay, Paolo Baratella, Fernando De Filippi, Lucio Del Pezzo, Bruno Donzelli, Ugo Nespolo, Albano Paolinelli, Andrea Pazienza, Sergio Sarri, Giangiacomo Spadari, partecipa alla mostra Dalla Pop(ular) Art all’Arte Popolare” al Laboratorio Comune d’Arte Convergenze di Pescara. Espone “Reliquiario per un sesso di vergine italiana” (legno e stoffe cucite, cm. 45x12x150), “Reliquiario per un sesso ciclopico” (legno e stoffe cucite, cm. 150x25x220), “Formula magica sotto l’arcobaleno” (tecnica mista su tela, cm. 100×150). 25 ottobre / 11 novembre.

1974
Dal 14 al 24 aprile apre a L’Aquila la mostra personale “Sandro Visca” presso lo Scalco delle Tre Marie al Palazzo Iacopo Notar Nanni. Espone sculture di pezza, strutture polimateriche, tele dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti. Nel foglio della mostra il testo è di Gino Marotta.

«Arte come memoria, celebrazione e recupero della vita insidiando la memoria con espedienti e operazioni che appartengono ai silenziosi riti del fare, ripetendo, per tautologie antiche onoranze e riti che si modificano e si attestano come “primari” proprio nella variante assertiva della loro epifania.
Queste le prime e più resistenti approssimazioni che vengono alla mente a proposito di Sandro Visca, profondamente abruzzese e certamente aquilano. E in Abruzzo sono più evidenti e reperibili le molte influenze islamiche che hanno dato all’arte romanica codici e sostanze traslate, motivi geometrici ed araldici, partiture, morfologie astratte, mostri e chimere a stuoli.
I principi che regolano le superfici e gli spazi aquilani non possono non rimandare a moschee ed edifici arabi: lo spazio cresce sopra una struttura numerica, elaborazione del quadrato, che per associazione di porzioni (quadrati), morfologicamente diversi fra loro, realizzano la tensione significante dello spazio espressivo.
Ed è proprio la contaminazione dei codici astratti e chimerici ad animare l’opera di Visca.
Tracce ricomposte, secondo procedimenti definiti per associazione di frazioni, per gruppi che alludono a schemi di algebristi e poligonisti orientali.
Dimensione composita, su strutture ancestrali, per addizioni di episodi guadagnati dalla memoria in un teatro tragicamente ingenuo per amarissime rappresentazioni.
Elevazioni di riti mnemonici le cui origini indiziano il demoniaco‑angelico che è nella sostanza stessa della vita.
Affiorano e si manifestano feticci e tabù e ripristini candidi di coltissimi sortilegi, di ferocissime appassionate favole paradossali: propiziatorie ricognizioni dei territori passionali di un collettivo etnico che va oltre il Gran Sasso, verso il deserto.
Ipotizziamo, proprio per il senso di ricercare significati e valori più profondi e del profondo, l’operatore plastico come è, forse, un ricercatore di ideologie, di ideografie. Ma l’incantamento che attiene a questi riti è poi la ragione e la regione più vera ed inviolabile di questo fare‑essendo o essere‑facendo che è il lavoro di un pittore.
Così il saraceno, incantatore esorcista, Sandro Visca, amaro privilegiato decifratore di arcani e lontani meccanismi del pensiero, conferisce splendore, da autentico poeta, al suo esistere.»

(Gino Marotta, testo nel pieghevole della mostra personale “Sandro Visca” allo Scalco delle Tre Marie dell’Aquila, 4/24 aprile 1974).

 

-Sandro Visca apre una mostra personale al Laboratorio Comune d’Arte Convergenze di Pescara. Insieme a una serie di tele dipinte a tecnica mista, sculture di pezza, e strutture polimateriche di grandi dimensioni. Espone il suo primo arazzo cucito “Sotto il gomitolo bianco” (cm. 168×255). dicembre 1974 / gennaio 1975.

-Partecipa alla mostra “Incontri con l’arte contemporanea” a Pescara. luglio/agosto.

-È invitato alla Settima Mostra d’Arte “Città di Penne” al Chiostro di San Domenico. Espone “Personaggio sotterrato sotto il limone cucito” (tecnica mista su tela, cm. 60×80). 17 novembre / 1 dicembre.

1975
Sandro Visca, fin da giovane, appassionato frequentatore delle sue montagne, inizia a studiarne presto gli aspetti letterari e antropologici, tanto che nel 1975 realizza il film “Un cuore rosso sul Gran Sasso”. Film d’arte corredato da un volume serigrafico presentato da Diego Carpitella e un libro oggetto “Per un cuore rosso sul Gran Sasso”, eseguito a mano in tiratura limitata, editi dallo Studio l’Uovo dell’Aquila. In rapporto a questo film, nel 1986, invitato dall’Assessorato alla Cultura della Regione Abruzzo a San Paolo del Brasile, da il titolo al Primo Expo Brasil‑Italia, “Un coraçao vermelho no Gran Sasso”, dove espone una serie di opere sul tema.

«Il cuore di Visca è certamente polisemico, perché rosso e viaggia sul Gran Sasso. Potrebbe anche essere un titolo famoso, Il futuro ha un cuore antico, di leviana memoria. Se così fosse le immagini oggettuali della sequenza sembrerebbero configurarsi in un post conflagrazione atomica. Il cupio dissolvi, la dissoluzione, la sparizione, il dolore. Una costellazione di categorie entro cui si muove, con cinesica malinconica e fatale una processione verso la montagna. Un corteo patologico perché senza mito. In questo panorama sembra sopravvivere solo la vitalità del corpo con la sua manualità ossessiva, metastorica, artigianale. Gli indici della sopravvivenza sono espliciti: l’uomo, il suo disegnarsi simbolico, il suo delimitare lo spazio protetto, i suoi conati di formalizzazione (il cuore, appunto), la sua costretta socialità (sia pure la piazzetta del borgo), il suo addobbarsi prima della partenza, il sistemarsi in processione, il salire «come prova», l’arrampicamento rituale, la risoluzione al vertice, con il terminale fissaggio cardiaco.
Sembra il lessico strutturale di un qualsiasi pellegrinaggio della tradizione popolare che Visca conosce, in parte vissuto, in parte ri‑vissuto criticamente en artiste. Il tutto accompagnato da una glossalia magica e rassicurante; inventata:

Portarsi all’alba di un dì di festa ad una altezza di almeno mille metri dal livello del mare
Al canto del gallo cucire un cuore di pezza rossa della lunghezza di circa due canne trapuntandolo con vero spago di ortica
Ligare intorno alla fronte dei portatori una fascetta di seta rossa
A notte adagiarlo con cura su di una lettiga di presso costruita con verghe di legno di ornello e spaghi di raffia
Portare il cuore fino ad una altezza di circa tremila metri dal livello del mare e lasciarlo per tre giorni e tre notti alle intemperie
Al terzo dì discenderlo lentamente a valle e abbandonarlo senza mai voltarsi indietro

La comprensione di questa processione sarà più chiara a chi conosca le variazioni sul cuore di Visca: un polimaterico a sorpresa, naif, artigianale, sofisticato, patetico, serico, cartaceo, infantile, fantastico, iterativo, manuale, ecc. Con un cuore, così consumato nei laboratori di Barnard o di Houston, che vorrebbe apparire nella sua continuità simbolica persistente.
Il viaggio delle immagini di Visca a me sembra proprio disperato, ancor più sospeso nella speranza che possiamo avere noi contemporanei. Ancor più livido nel bianco e nero di Iammarrone, un classico ormai della fotografia antropologica.
Cioè dell’uomo, con i suoi vestitini ed i suoi scapolari di contadina memoria, attaccati al corpo automatico, vitale.»

(Diego Carpitella, testo nel libro d’arte – Sandro Visca “Un cuore rosso sul Gran Sasso”, Edizioni Studio l’Uovo, L’Aquila 1979).

 

Dal 15 al 27 febbraio Sandro Visca apre la mostra personale al Centro d’Arte “Il Cubo” di Lanciano. Espone tele dipinte a tecnica mista, cartoni dipinti e disegni.

-Visca è invitato alla Ventinovesima Mostra Internazionale di Pittura F.P. Michetti a Francavilla al mare. Espone “Formula magica sotto l’arcobaleno” (tecnica mista su tela, cm. 100×150), “Per una richiesta di matrimonio” (tecnica mista su tela, cm. 120 x100), “Foglie d’oro sul gallo con lo sperone rosso” (tecnica mista su tela, cm. 100×120). La mostra è a cura di Giuseppe Marchiori, Franco Solmi, Marcello Venturoli.

-Partecipa al 11° Festival degli Artisti, Otto presenze significative nelle arti figurative e plastiche, al Chiostro di San Giovanni in Venere a Fossacesia. Espone “Personaggio sotto la nuvoletta d’argento” (tecnica mista su tela, cm. 80×120) e una serie di cartoni dipinti.

1976
-Il 29 gennaio Visca apre la mostra personale “Giochi di fate” allo Studio l’ Uovo dell’Aquila. Presenta una cartella di cinque incisioni più una serigrafia insieme ad una serie di tele dipinte a tecnica mista.

Nel luglio 1976 Gino Marotta e Sandro Visca ricostruiscono l’opera “Ambiente spaziale a luce nera”(1949) di Lucio Fontana per la Biennale di Venezia. In questa occasione Visca conosce Teresita Rasini, moglie di Fontana, che proprio in quegli anni, nonostante la sua limitata esperienza e le oggettive difficoltà da lei esposte inizia, con l’amore che appartiene alle donne schiette,  a interessarsi a dar vita alla Fondazione Lucio Fontana che a tutt’oggi costituisce una delle iniziative meglio gestite nella valorizzazione dell’operato di un artista.

-Visca partecipa insieme agli artisti Alechinskij, Appel, Ceroli, Corpora, Dalì, Ernest, Fioroni, Lam, Marotta, Matta, Moor, Pavlos e Pozzati alla mostra organizzata dalla Galleria de Arte Arcobaleno a Caracas, Venezuela. luglio/agosto.

-È invitato alla XXI Mostra “Premio Villa San Giovanni” a Villa San Giovanni. Espone “Formuletta con capitello rosso”. luglio/agosto.

-In agosto partecipa alla mostra “Cavallo di Troia” a Pescara.

-Il 23 novembre Visca apre la mostra personale “Ligamenti d’amore” alla galleria dell’Oca di Roma. Espone alcuni arazzi cuciti, strutture polimateriche, tele dipinte a tecnica mista e disegni.

-Partecipa alla mostra “Grafica e multipli dello Studio L’Uovo” presso il Laboratorio Comune d’Arte Convergenze di Pescara. 11 dicembre 1976 / 8 gennaio 1977.

1977
-È invitato ad una collettiva di autori contemporanei alla Bottega d’Arte Magazzeni di Giulianova Alta . 12/28 giugno.

-È presente alla mostra “Artisti aquilani” alla galleria Ferriarte dell’Aquila. 23 dicembre.

1978
Sandro Visca, interessato alla cultura latino‑americana, nel 1978 organizza, insieme e Giancarlo Papini una spedizione in Sud America con particolare attenzione agli aspetti popolari del Perù.

In questo impegnativo viaggio tra le Ande documenta i segni tipici dei villaggi della Sierra e dei centri storici più sperduti dei parchi archeologici di Cuzco e Puno trovando profonde analogie con la sua terra d’origine.

Poi, risalendo da Iquitos un tratto del Rio delle Amazzoni, si addentra nella foresta amazzonica (Pacaya Samiria) avvicinando indios Jaguas e Jvaros. Questa esperienza, sia da un punto di vista scientifico che umano, lo porterà a rafforzare ancora di più le sue posizioni politiche nei confronti del suo lavoro e della sua ricerca.

 -In settembre, con alcune strutture polimateriche e tele dipinte a tecnica mista, partecipa insieme a Elio Di Blasio  alla manifestazione “Incontri 78” al Chiostro di San Francesco a Loreto Aprutino.

1980
-Dal 19 al 23 gennaio Visca apre la mostra personale “Un cuore rosso sul Gran Sasso” ai Centri di Servizi Culturali della Regione Abruzzo di Pescara con una video proiezione (foto di scena del film “Un cuore rosso sul Gran Sasso di Giuseppe Iammarrone – musiche scritte e arrangiate di Ugo Fusco) e alcune opere di riferimento al tema del film “Un cuore rosso sul Gran Sasso”.

-È invitato alla mostra “Postal Medium”, (“Invii” Postali al Centro di Documentazione Arti Visive nel 1979) ai Centri di Servizi Culturali di Pescara. I testi nel catalogo sono di Enrico Crispolti, Umberto Russo, Adina Riga e Franco Summa. 6/26 marzo.

1982
-Sandro Visca è invitato alla Terza Rassegna Nazionale “Doppio versante” ad Acquaviva Picena. Espone “Legare una stella su un’onda del mare, attendere” (tecnica mista, cm. 70×85), “Attendere serenamente sotto le nuvole legate” (tecnica mista, cm. 70×67). Nel catalogo i testi sono di Carlo Melloni e Elverio Maurizi. 4 luglio / 1 agosto.

«Nell’opera di Visca, al segno pulito, alla scelta delle tonalità più delicate corrisponde l’uso ripetuto del simbolo, della metafora, mediazioni linguistiche per la espressione di quanto è maggiormente privato e incomunicabile per via diretta. L’affetto trova così il suo naturale mezzo espressivo, il simbolo, che da sempre ne è il veicolo più immediato; esso viene usato istintivamente nelle produzioni migliori di Visca ed obbedisce, pertanto, ad una esigenza comunicativa profonda. Appunto in tali produzioni si assiste, non ad una scelta poetica dettata da esperienza e gusto culturali, ma proprio ad un lasciarsi andare a ciò che parla dove c’è chi parla. Così la simbolica di quanto è interno si oppone a quanto è esterno, il pieno e il vuoto, il maschile ed il femminile; il senso del congiungimento espresso attraverso le linee raccordanti il cielo alla terra, gli incastri stilizzati e mimati con l’uso di linee compenetrantisi. Un’arte, dunque, ispirata, ma che tradisce un gusto per l’ordine ed il pulito, quasi un processo riparativo a ciò che in qualche modo si è costretti a comunicare.»

(Giorgio Misticoni, Sandro Visca, Presentazione nel catalogo della terza rassegna nazionale d’arte figurativa “Doppio versante”, Acquaviva Picena, 4 luglio / 1 agosto 1982).

 

-Visca partecipa con Alfredo Del Greco, Pasquale Liberatore e Albano Paolinelli alla mostra “Intimità dell’indagine” Psicanalisi ed arte – Psicanalisi ed estetica, ai Centri di Servizi Culturali della Regione Abruzzo di Pescara. Espone “Attendere serenamente il passaggio del martin pescatore” (tecnica mista su tela, cm. 200×150), “Paesaggio interno” (tecnica mista su tela, cm. 200×150), “La casa dei ricordi” (tecnica mista su tela, cm. 120×150), “Sotto il fulmine bianco” (tecnica mista, cm. 75×75), “Paesaggio con nuvole” (tecnica mista, cm. 75×75), “Paesaggio fatato” (tecnica mista, cm. 75×75), “Bolla con arcobaleno” (Legno dipinto e metacrilato graffito, cm. 77×114).

Nel catalogo il testo è di Giorgio Misticoni. dicembre 1982 / gennaio 1983.

1983
-Visca è presente all’Expo Arte di Bari presentato dalla galleria Questarte di Pescara. Espone “La casa dei ricordi” (tecnica mista su tela, cm. 120×150), “Attendere serenamente il passaggio del martin pescatore” (tecnica mista su tela, cm. 200×150).

-Partecipa con Di Vincenzo, Lustri, Mulas, Notari e Sarri alla mostra “Contemporanee visioni” alla galleria Il Pentagono di Avezzano. 9/21 aprile.

-La mostra “Intimità dell’indagine” Psicanalisi ed arte – Psicanalisi ed estetica, viene replicata al Palazzo Massari, Gallerie Civiche d’Arte Moderna Palazzo dei Diamanti di Ferrara. 22 maggio / 19 giugno.

-Visca è invitato alla XXXVI Mostra Nazionale F.P. Michetti “L’Immagine diversa” a Francavilla al mare. Espone “Attendere serenamente il passaggio del martin pescatore” (tecnica mista su tela, cm. 200×150), “Il tavolo galleggiante” (tecnica mista su tela, cm. 200×150), “La casa dei ricordi” (tecnica mista su tela, cm. 120×150). La mostra è a cura di Marcello Venturoli. 30 luglio / 31 agosto.

«Non so se Sandro Visca preferisca si dica che nella sua opera — e non solamente in quella ultima – giungano ad amalgama le varie componenti che ne stanno comunque a presupposto, o che queste si lascino identificare ora nell’uno ora nelI’altro esito di lavoro e di ricerca, come altrettante facce di una proteiforme realtà posseduta, oppure ipotizzata, o ancora «sentita» per fili inafferrabili quali quelli che manovrano il sogno. Certo è che la gran quantità di elementi, confluenti o convergenti o concorrenti, dispiegano un apparato di essenze (o di parvenze?) che danno conto di un inseguirsi di motivazioni a fronte delle quali l’apparato tecnico — si vuol dire la possibilità di riferirne sul piano di una «figurazione» che sia tale da lasciarsi se non sempre pienamente intendere certo sì captare nel segno di un istintivo godimento — è giocoforza necessitato ad arricchirsi di nuove strutturazioni e compilazioni inedite, o si dirà in breve di un «linguaggio» continuamente in fieri, senza prospettive di catarsi se non provvisorie.
La sedimentazione di una «tradizione» di una «tradizione» di magia che si è fatta cultura: ciò innanzitutto, come componente primaria ma, per sua stessa natura, implicativa in misura così ampia, e su ramificazioni tanto estese e complesse, da farsi re‑identificare di continuo come multiforme punto di partenza o, che può essere la stessa cosa, come imprescindibile punto di arrivo. Sulla mediazione di una duttilità espressiva che finisce a sua volta per rendersi responsabile di operazioni sempre ulteriori, a livello di rigorosissima creatività del linguaggio.

(Giuseppe Rosato, Sandro Visca, Presentazione nel catalogo del XXXVI Premio Michetti, Francavilla al mare, 30 luglio / 31 agosto 1983).

 

-Visca partecipa con Alfredo Del Greco, Giuseppe Fiducia, Pasquale Liberatore e Albano Paolinelli alla mostra “Pietra e colore” alla galleria Questarte di Pescara. Nel foglio della mostra il testo è di Francesco Iengo. 20 dicembre 1983 / 22 gennaio 1984.

1984
-Visca insieme allo scultore Pasquale Liberatore apre la mostra “Parole di terra parole nell’aria” al Centro Multimediale Quarto di Santa Giusta a L’Aquila. Nel foglio della mostra il testo è di Tito Spini. 22 dicembre 1984 / 15 gennaio 1985.

«Fra chi la vuole morta e chi più viva che mai, querelle ormai annosa ma sempre ottimo pretesto di ginnastica dialettica, l’arte continua comunque a imporsi per prove indubbie di esistenza.
L’arte all’Aquila: trascurata, osannata, spesso evento indotto, troppo spesso in bilico tra «nemo propheta in patria», vecchio complesso provinciale irrisolto, ed esaltazione poveramente campanilistica di glorie locali. Che fare? Forse per iniziare basterebbe prendere le distanze da complessi o compiacimenti fuorvianti, e sulla base di proposte attendibili, suscitare l’interesse e sottoporsi al giudizio del pubblico. Qualcuno ci sta provando.
Al Quarto di S. Giusta, il centro multimediale di via Crispomonti, è stata proposta dal 22 dicembre scorso ad oggi, una selezione di opere di Pasquale Liberatore e Sandro Visca. A conclusione della mostra, oggi, quindi, alle 18 si tiene un incontro‑dibattito, sempre nei locali del Quarto, tra il professor Spini, docente del corso di tradizioni popolari dell’Accademia di belle arti dell’Aquila e i due artisti. Le premesse perché l’incontro si preannunci interessante ci sono tutte, anche per la partecipazione dell’antropologo francese François Calamns.
Uomo di cultura reale, ben al di là delle specifiche competenze professionali, Tito Spini da anni percorre l’Abruzzo con la lanterna di Diogene, alla ricerca di verità sommerse e di tesori a prima vista improbabili: una ricerca condotta sul filo di un totale rigore scientifico, ma anche del più profondo coinvolgimento personale e tali ambedue da escludere in partenza ogni facile entusiasmo.
Entusiasmo che invece, motivazione immediata, ha connotato l’approccio conoscitivo con l’opera di Liberatore e Visca.
L’Enigma archetipico delle sculture di Pasquale Liberatore non lascia indifferenti; riproposizione ingigantita dei semi della vita, i baccelli primordiali da alba del mondo, le orme unghiate da passato remoto ma ricreate, futuro prossimo e tecnologico, in colla di marmo su stampo.
E finalmente Sandro Visca, ovvero un ritorno. Un ritorno da un viaggio iniziato più di vent’anni fa, alla ricerca di «segni» che sembrava impossibile non vedere tanto erano vicini. Eppure così consueti che non si vedevano più. Il riconoscimento, la folgorazione sulla via di Damasco appena dietro l’angolo, il tempo dei cuori di seta gonfi e rossi, dei rituali, degli altari barbari e barocchi. E poi il tempo di «Un cuore rosso sul Gran Sasso», film‑documento di una processione titanica (e giacché ci siamo: perché qualcuno non lo restituisce almeno alla città, se non a Visca?) fino alla Triennale di Milano e ai salotti in cui si vezzeggiano gli artisti; ma anche il tempo dell’avventura, sulle Ande e nei villaggi peruviani, o quello degli arazzi, ironici e tragici, o preziosi come un atto di fede.
Per la città, comunque, un momento da non perdere: quello del piacere dell’intelligenza.»

(Marina Acitelli, Alla ricerca di verità sommerse, “Il Messaggero”, L’Aquila, 15 gennaio 1985, p. 13).

 

1985
-Visca è invitato alla mostra “L’Onda del Sud ?”, Nuovo immaginario mediterraneo nel design, al Castello Svevo di Bari. Espone “Ripostiglio proibito” (struttura in legno dipinto e miscele di stoffe, cm. 75x15x160). La mostra è a cura di Enrico Crispolti con il contributo critico di Andrea Branzi, Riccardo Dalisi e Alessandro Mendini.

-È invitato alla XXX Mostra Nazionale d’Arte “Castello Svevo” alla galleria Civica d’Arte Contemporanea di Termoli. Espone “Dopo i fuochi di mezzanotte” (struttura in legno dipinto e stoffe imbottite, cm. 180x22x205).

Nel catalogo i testi sono di Filiberto Menna e Remo Brindisi. 27 luglio / 14 settembre.

-Partecipa alla mostra “Arte e territorio” alla Sala Consiliare del Municipio di Collelongo. Espone “Mare” (collage dipinto, cm. 50×70). 3/18 agosto.

-Con tre opere di grafica partecipa alla mostra “International Biennal print exhibit” a Taipei, Taiwan.

-La mostra personale Sandro Visca “Fuochi d’amore” apre alla galleria Questarte di Pescara con una serie di sculture, tele dipinte e cartoni cuciti. Nel catalogo il testo è di Enrico Crispolti, dicembre.

«Sandro Visca è uno di quegli artisti «segreti» che sfuggono alla misura critica del consumo dell’arte, o meglio dell’arte di consumo (nelle prospettive di un’estetica che non a torto è stata detta «sportiva»). Lavora infatti da vent’anni, solitario, secondo una propria coerenza di riscontro ad un immaginario personalissimo, che non è «fuori della storia», ma in una «sua» storia, anzitutto (giacché la storia è poi fatta nel concreto dalla dimensione creativa di ciascuno), ed entro una storia, se vogliamo «parallela», di un’area culturale antropologicamente ben definita, alle fonti remote della quale quel suo immaginario si alimenta, scandagliandone in recessi profondi. (Lo ricordo giovanissimo e inquieto testimone dal tempo delle ormai epiche — anche proprio per la loro poi inarrivata indipendenza — Alternative Attuali aquilane negli anni Sessanta).
Non che Visca sia pittore «folclorico», intendiamoci. Infatti quel patrimonio antropologico scandaglia e attualizza reinventandolo a misura del proprio immaginario, interamente giocato sull’evocazione simbolica pregnante, in una continua oscillazione fra narrazione appunto di simboli e sintesi iconica, a volte persino aggressiva nella sua prensilità emotivo‑immaginifica sul lettore. Il suo dialogo antropologico profondo è d’altra parte di naturalità colta. Lavora infatti Visca su simboli d’accentuata icasticità il cui assemblaggio, e il cui conseguente snodo narrativo, molto rastremato, come nei fregi romanici delle chiese d’Abruzzo, acquisisce una massima evidenza icastica e impressiva; a loro modo infatti sollecitanti, starei per dire terrifici (anagogici, certo, comunque), se in realtà quell’immaginario non fosse fatto, ad evidenza, di dolcezze evocative, di sensuoso lirismo, in remoti echi d’amorosi rapporti. Esplicandosi d’altra parte in un figurare sontuoso, quasi carico di indefinite seduzioni d’Oriente (scopre forse dagli alti orizzonti marini abruzzesi un lembo di magico lontano?); in un figurare fitto che carica tutto, il simbolo quanto il suo contesto, d’una straordinaria intensità di tessuto d’immagine.
Tanto più ricca questa contestualità di segni simbolici, e microsegni tissulari, giacché percepita spesso in una varietà di materie (così da aver sperimentato, e portandosene poi comunque sempre l’eco anche sulla superficie diciamo «pittorica», pure la costruzione straordinariamente icastica di figure totemiche di simboli di carica magica avvincente e straniante). L’impianto narrativo dei suoi dipinti si arricchisce nell’articolarsi dei simboli in soluzioni sempre nuove ed inedite, in un pullulare di proposizioni che rinnovano continuamente le soluzioni immaginative. Ma la tematica del suo fare verte da anni appunto su un nodo di amorosi magici riscontri. Dieci anni fa espose a Roma «dipinti» sul tema dei Ligamenti d’amore e quest’anno ha proposto a Pescara Fuochi d’amore. Nel 1979‑80 ha realizzato l’azione Un grande cuore rosso sul Gran Sasso, inerpicandosi proprio sul maestoso macigno con una grande cuore rosso, perduto simbolo di memoria umana nell’immensità della natura sovrana.
Il suo mondo è magico, e dunque ogni elemento, immagine simbolica, contesto, del «dipinto» (come altrimenti nella sontuosità polimaterica accattivante e seduttiva nelle costruzioni che chiamo totemiche, ma sono forse anche grandi «ex voto» affettivi, ha funzione squisitamente di simbolismo magico in tutta la sua densità ed ambiguità evocativa. Quasi formularsi di magiche evocazioni di comportamenti possibili, ove l’umano, remoto e attuale, è il termine di riscontro, ma ove il transito dal naturale all’artificiale (più propriamente magico) è continuo. Qui per esempio fra il fuoco come fuoco (il fulmine, la fiamma) e il fuoco artificiale, appunto. Naturalmente il suo è uno scandaglio di profondità interiori della struttura antropologica perenne dell’uomo, non lette però in archeologia, ma in attualità di dialogo: voglio dire ben consapevole dell’estroversione clamorosa del nostro tempo di un prepotente immaginario di massa (di qui quel suo figurare per schematizzazioni da «fumetto», si potrebbe dire).
Ne viene un orizzonte d’immagini festevole, ludico (e Visca mi parla infatti di recupero di una «festività persa»), ove il gioco tuttavia non è liberazione altrimenti alienante, ma è evocazione, invenzione, scandaglio di nessi possibili, vitalmente significanti. Il traguardo è l’immaginazione come potenza di costruzione di un mondo più ricco, diverso nella sua densità animistica, ove ogni segno è dunque anche altro da sé, come ogni suo elemento in campo è sì allusione alla figura simbolica deliberata, ma anche carica d’immaginario ulteriore attraverso l’intensità direi di «decoro» espressivo del suo stesso tessuto, sempre sontuosamente condotto, e perciò mai inerte, mai puramente descrittivo (sia pure nella distesa semplicità di una sintesi figurativa estrema). Un’iconologia di oggetti quotidiani, perché la base del magico è la prossimità del mondo domestico, si anima (proprio animisticamente) e si dichiara in una capacità e imprevedibilità simbolica. E di qui nasce l’avvio del suo tipico sincopato narrativo.
Sono immagini lucidamente inquietanti proprio nella loro nettezza, a tutto vantaggio dell’esplicazione simbolica. E il simbolo è lo strumento (e il traguardo) dell’arricchimento narrativo; di una compenetrazione della quotidianità nell’immaginario di altrovi remoti possibili, che rendono magica ogni presenza, ogni evidenza, ogni particolare non solo dell’immagine protagonista, ma appunto del contesto nel quale questa si viene a dichiarare, entro il quale, se vogliamo, ci appare, e racconta di un’inalienabile realtà della (e di un inalienabile diritto alla ) fantasia dell’altrove, dell’altrimenti, di remoti sensi che caricano la vita di una sua fascinosità inarrestabile, di un folto patrimonio di memorie.»

(Enrico Crispolti, testo nel catalogo della mostra personale – Sandro Visca “Fuochi d’amore” alla galleria Questarte di Pescara, dicembre 1985).

 

1986
-La mostra Sandro Visca “Un coraçao vermelho no Gran Sasso” apre all’Expo Brasil – Italia a San Paolo del Brasile. 10/18 maggio.

-Lo stesso anno apre la mostra personale “Cuciti” al Forte Spagnolo dell’Aquila. In questa occasione espone per la prima volta diciannove arazzi cuciti di grandi dimensioni, prodotti dal 1974 al 1985.

Nella monografia “Cuciti” i testi sono di Enrico Crispolti e Tito Spini.

«Il sentiero dei linguaggi di Sandro Visca è segnato da eventi mitici, realtà pietrose, processioni festive, metafisici ritrovamenti; è un “tratturo culturale” che registra le transumanze dall’oceano Adriatico al Tibet del Gran Sasso. I Saraceni sbarcati ad Ortona, gli Slavi mercanti di cavalli di Lanciano, gli Albanesi guerrieri di Villa Badessa portano sulle gualdrappe dei loro destrieri gli echi di Bisanzio e degli Sciti, l’opulenza e il sangue degli imperi e delle guerre che li hanno costruiti.
L’obiettivo di Visca mette a fuoco le immagini e, da fattori esogeni, le trasforma in storia iconografica, ne fa sofferenza e festa, le ripropone attraverso il filtro della sovrapposizione e del confronto. Solo così si può entrare in questo “cucito”, e non per nulla Visca chiama cucito l’intenso lavoro di strappo e di costruzione.
Cuce l’arte monastica delle abbazie benedettine, le ombre e i fuochi che si chiudono nelle navate di S. Liberatore, il Chronicon Casauriense con i suoi contrappunti carolingi. Ombre e fuochi non di luoghi ma di culture a scontro. I vessilli di violenza trasferiti dalla Francia con il duca di Guisa fronteggiati dall’oro e dal rosso del duca d’Alba sono le striscie di stoffa‑storia che avvolgono l’Abruzzo nelle sue miserie e nei suoi splendori.
I villaggi sono attraversati da questi lampi di follia, da queste dominazioni icastiche. Ma dentro le case segrete si tessono le stoffe della comunità, gli emblemi di una cultura pastorale e contadina che ha portato nell’iconografia cattolica gli elementi della propria arcaicità.
Nelle contrade camminano i santi con al collo le serpi di Angizia; s’inchinano i buoi in chiesa e defecano; franano dai dirupi di Pacentro gli zingari nudi, feriti e vittoriosi per essere rivestiti con il panno sacrale. Gli stendardi ricamati di denti miracolosi, le pelli di lupo per vestire gli attori nell’eterna rappresentazione del dramma selvaggio/coltivato, le fanciulle vergini cariche di pizzi e ori, le tovaglie e le coperte spiegate sui percorsi delle processioni sono le stoffe‑storia che il popolo estrae dal proprio passato per tracciare quel sentiero dei linguaggi sul quale Sandro Visca raccoglie reperti per immetterli nella sua sfera di lavoro e di etnicità.
Il sentiero non serpeggia solo tra paesaggi culturali e umani ma attraversa fenomeni della natura: massi e acque, temporali e arcobaleni, nembi gonfi di pioggia e di saette e cirri appesi ai cieli di montagna, lenzuola di neve e alberi dorati, foglie di bosco e fuochi notturni. Non intendo restringere il mondo del rappresentato, ma non altrove che in questo Abruzzo di passato e di presente, di impennate montuose e di voragini, di mari d’acqua e di lana, non altrove, Sandro Visca avrebbe potuto farsi artigiano e cantore di tale profondità e saggezza, di tanta matura contemplazione e colorazione affettiva.
L’operazione ermeneutica apparentemente contrasta con la tensione a immettere la storia nel mito, la realtà nella fantasia. Ma, di fatto, non è forse corrispondente a quella verità che si intravede nei Venerdì santi di Chieti o nelle resurrezioni di Sulmona?
L’ermeneuta Sandro Visca non vuole storicizzare gli accadimenti ma li interpreta e cuce per noi su un canovaccio preparato da millenni. I cuciti fanno parte d’una genetica per mezzo della quale si spiegano permanenze e mutazioni, in una condivisione conscia e sistematica dei passaggi che regolano le misteriose leggi della riconciliazione psicologica tra presente e passato.
Ricordo, splendida coerenza alla scelta di costruire e vivere la propria appartenenza tribale, la processione inventata nel 1975 da Visca per trasportare da S. Stefano di Sessanio alla cima del Gran Sasso il grande cuore rosso di pezza; prova iniziatica del corpo e della mente, sfida al silenzio e all’indifferenza. Quel percorso rituale l’ho registrato come un moto di recupero che partendo dall’aggregato domestico, dalla forzatura emblematica annullava lo spazio temporale del mito. Tentativo di imporre, fuori dalle logiche sclerotizzate, il risveglio d’un luogo del meridione sulle tracce delle proprie gestualità quasi a confrontarsi con la lettura non materialista dei fatti sociali, disperato tentativo di sciogliersi dagli schemi dell’antropologia scritta.
Vorrei annettere, e non a forza o per polemica, l’opera, il “lavoro sul campo”, di Visca al mondo aperto dell’antropologia visiva. Vi è stata sempre diffidenza per chi scrivesse bene il testo antropologico, poi, per chi fornisse belle immagini all’antropologia visiva; chissà mai cosa si dirà oggi contro chi pensi di collocare questa impresa nelle trame dell’indagine e sintesi antropologica.
Quando Lévi‑Strauss scrive “Tristi Tropici”, non ne fa solo un documento ma un testo sottile e permeabile, il tessuto di comprensione per la situazione socioculturale da rappresentare e per il riconoscimento del proprio stato di testimone. Quando Joris Ivens filma la Cina, le immagini bellissime scardinano gli stereotipi e invadono i campi della ricerca e della comunicazione scientifica.
La personalità di Visca si raddoppia non si sdoppia, raccontare‑interpretare, rileggere‑proporre, intervento complesso che si allontana dalla fattura folklorica e rinnova canoni e parametri per affermare un’esplicita estetica dell’arte popolare. L’opera è tesa a cancellare il rincorrersi delle mode d’una borghesia mercantile che crea i suoi feticci primitivi e celebra i suoi rituali attorno agli ex‑voto, ai presepi napoletani, alle canzoni popolari.
Questi cuciti, sapienti di tutto ciò che è passato sopra il “Continente Abruzzo”, composti di tutti i ritagli di cronaca, contenenti tutte le reliquie, aprono un microcosmo a dimensioni universali e collocano i momenti operativi popolari nell’asse portante della Storia. E la storia è tutta: quella infilzata sulle spade degli eserciti, sulle falci dei contadini, sulle pirocche dei pastori. Quella tessuta nelle tovaglie di lino, nei pizzi di Pesco Costanzo, nel capecchio dei transumanti. Vi si legge furore, sopraffazione, coraggio, allegria, fantasia, spreco, povertà. I cuciti di Sandro Visca sono gli stendardi di questa nobiltà, pagine ricamate del vocabolario delle caste, mappe di complessi territori culturali. L’impegno è di fare antropologia visiva con un intervento d’arte, esplorare e far emergere i microcosmi così come per la storia fanno Duby e Le Goff; perché lì sono i semi dell’albero del mondo.
“Nascita di un asparago”, uno dei cuciti più recenti, non è enfatizzazione suicida ma emblematica indicazione della traccia di ricchezze che da un grumo di materia esplodono nella continuità come le stagioni.
L’insegnamento non sta nel solo fatto culturale, è anche nell’evento manuale. Cucire, per la sua ripetitività, non è un gesto solitario; nella comunità contadina ha sempre determinato l’ampiezza del reticolo di relazioni. Si cuce sulle porte delle case, nelle aie, nei cortili; il cucito veicola la parola, è strumento di comunicazione con il quale Visca ci trasmette dai territori della cultura popolare le tecniche arcaiche dell’estasi. Come uno sciamano, cuce parole e stoffe, costruisce oggetti rituali per il “volo” e, dall’alto spazio raggiunto, scruta nelle pieghe della storia il futuro.»

(Tito Spini “Antropologia e arte”, testo nella monografia – Sandro Visca “Cuciti”, Edizioni del Gallo Cedrone, per la mostra personale al Forte Spagnolo dell’Aquila, ottobre 1986).

 

«Da circa metà degli anni Settanta Visca ha realizzato degli arazzi, cuciti a mano, e in effetti degli ‘’assemblage“, non soltanto di stoffe, ma di elementi oggettuali diversi. Li espone soltanto ora, per la prima volta, e li raccoglie in questa pubblicazione, “Cuciti”, 1986. Sono in realtà veri e propri quadri di stoffa, e certo non deduzioni decorative.
La traduzione dell’arazzo contemporaneo, come si sa, è assai ricca, e proprio lungo due versanti in certo modo contrapposti. Il primo, ove si è recuperata, e al tempo stesso in qualche misura provocata, la tradizione aulica dell’arazzeria (da Lurçat a Cagli). Il secondo, ove invece hanno avuto campo soluzioni sperimentali, in tecniche infatti sempre più disinvolte nelle commistioni ed aggiunzioni di materiali, non soltanto tessili; e comunque spingendo quelli tessili al massimo della loro mobilità e articolazione (da Depero alle recenti fortune della tessitura d’avanguardia).
Naturalmente il lavoro di Visca si colloca in questo secondo versante, d’illustri frequentazioni nell’ambito dell’avanguardia italiana, a cominciare dai futuristi. Se Balla dipingeva i suoi arazzi, sull’apposita tela, certamente in una scorciatoia dovuta a ragioni economiche, non perciò tuttavia risultando diminuito il fascino di quelle sue realizzazioni di grande formato, e Prampolini, come altrimenti Pizzo Rizzo progettarono e fecero realizzare arazzi ( e tappeti), tessuti ad alto liccio (almeno certo il primo), Nizzoli preferì ricamarli; e invece Depero immaginò una tecnica di assemblaggio di panni di lana coloratissimi, secondo l’acceso gusto cromatico largamente campito della sua pittura (in una tecnica che è quella che chiamiamo oggi “patchwork”).
L’arazzo diveniva così sostanzialmente come un quadro dipinto con materiali diversi, tessili appunto. Ed accentuava una propria presenza di immagine, provocante, proselitistica (per i futuristi), entro lo spazio quotidiano, domestico, invadendo maggiormente tale spazio, condizionandolo dunque, e consegnandosi d’altra parte in una materialità assai meno ideale invece assai più prossima e immediata che non il mezzo tradizionale “pittura”. Una diversa possibilità di pittura dunque.
Non credo tuttavia che l’origine motivazionale dell’interesse di Visca per l’arazzo cucito e assemblagistico sia di natura avanguardistica. Mi sembra invece chiaramente di natura antropologica, nel senso cioè che nel denominatore non vi è qualche clamorosa evidenza affermativa dell’immagine e del linguaggio figurale su un presupposto ideologico, ma l’appassionata rilettura, sul filo di una intensa partecipazione emotiva memoriale, di un patrimonio di manualità domestica nella sua ancestrale tramandata sapienza, affondando in livelli d’impressività emotiva infantile, e sviluppandovi una propria del tutto autonoma avventura di intimo dialogo iconico quanto oggettuale, nella dimensione dell’immagine infatti quanto della materia, del tessuto, dell’oggetto, non meno direi che del punto. Il fascino di questi arazzi di Visca è infatti tutto nella loro discorsività fantastica, nella loro capacità di intensissima suggestione di magiche preziosità, che si raccontano in presenze simboliche e allusive, di elementare e il più spesso criptica (giacché privata, intima) simbologia, in accenni narrativi fabulisticamente spiazzanti. Una discorsività che non è soltanto appunto d’immagine, ma di materie, di tissularità della materia, in una straordinaria e veramente magica varietà di componenti, materiologiche, cromatiche, segniche, oggettuali; così da sostenere una fascinazione continua, che è dunque tanto dell’icone complessiva, quanto della preziosità estrema che ne sorregge la “texture”, a sua volta assai differenziata episodio per episodio, componente per componente iconica del racconto, secondo che quest’ultimo nella sua funzionalità richieda.Si collocano, questi arazzi, nel lavoro di Visca, fra le straordinarie costruzioni oggettuali di stoffe ed altri materiali, magici, preziosissimi, appassionati totem domestici, nati attorno al tema delle bambole, all’inizio degli anni Settanta, feticci fascinosi; e insinuanti e la vivida intensità fantastica delle sintetiche aperture narrative dei dipinti che corrono lungo gli anni Settanta e questi Ottanta. Dalle costruzioni oggettuali ereditano direttamente quella che chiamo discorsività manuale, cioè il dialogo con le materie e gli oggetti significanti, e il senso di presenza oggettualmente fisica dell’immagine, pur così intensamente fantastica nello spiazzamento immaginativo che la preziosità spinta delle materie e della stessa virtuosità manuale del lavoro vi provocano. Mentre, se con i dipinti a volte gli arazzi condividono soluzioni iconiche, come certi stilemi di sintesi narrativa, in realtà se ne staccano proprio perché “l’unicum” della ricchezza materica (soprattutto naturalmente tessile) che di volta in volta li distingue vi crea una densità di presenza a mio avviso superiore alla distensione grafica che spesso i dipinti altrimenti assumono, nella loro cesellata mosaicatura di preziose nette superfici.
Qui, negli arazzi, la manualità trionfa come esperienza d’una sorta di anamnesi privata, d’una avventura che attraverso il percorso del cucito, risalendo itinerari di memoria costruisce un proprio mondo iconico e materico di continuamente sorprendente risalto fantastico e di continua insinuazione magica che vi si realizzano infatti entro livelli molteplici d’antichi richiami, affondati in una simbologia primaria d’affettività remota, rivissute in magica stupefazione come di favola avvolgente e spaesante verso una dimensione di assoluto dominio e sommesso ascolto d’antichi sensi e perdute magie. È essenziale alla natura espressiva di questi arazzi il loro essere cuciti a mano, ma in una manualità che non è esecutiva, non è iterativa, ed è direi invece euristica, e a volte quasi rituale e devozionale. Cucire è ricercare e costruire la propria dimensione fabulistica magica, è attingere livelli memoria, è godere sensitivamente, sensualmente di materie, di oggetti, di ricordi, di allusioni, di proiezioni fantastiche. Il lavoro è naturalmente lento, perché ogni passo è motivato, vale infatti l’individuazione di un elemento concorrente a costruire il racconto, che è sì fatto dall’icone che infine ne risulta, ma anche appunto dal tragitto di affettuosa, passionale, manualità percorso per raggiungere la definizione di quell’immagine. Non solo dunque un’immagine fantastica, ma un effettivo viaggio fantastico; e ne trovi traccia nella ricchezza d’ogni segno, d’ogni passaggio, d’ogni elemento, stoffa, oggetto, punto. L’immagine conclusiva, nella sua ricchezza spesso suggestivamente strepitosa, racchiude ed esalta questa vitalità di lavorazione, che vi è vera e propria esperienza del fare come dedizione ad una ritualità manuale antica, riscatta da perdute profondità ataviche, e rimergente da livelli di evidente memoria infantile personale.
In questo senso è chiaro che gioca intensamente negli arazzi di Visca appunto l’origine motivazionale antropologica, legata esattamente ad uno specifico patrimonio della sua terra d’Abruzzo, dalla fiera rusticità arcaica della quale tuttavia Visca traspone chiaramente ogni suggestione in una diversa misura di magicità inarrivata e quasi inarrivabile, proprio direi quasi per dimostrare la possibilità d’attingerla ormai soltanto in dimensione d’esaltazione fantastica e fabulistica, cioè nell’ostensione di una dimensione magica e sottilmente sacrale, impraticabile se non in una dedizione totale all’intensità della fantasia. Che è poi fatto tutto privato, intimo, come di chi si crei un proprio orizzonte alternativo. Perciò Visca non è archeologico in senso folclorico, come d’altra parte non è arcaico, né arcaicizzante, ma magico nel senso di giungere ad una preziosità irreale di soddisfazione (propria appunto anzitutto) fantastica e magicamente sensuale.
A volervi avvertire una dinamica interna, in oltre dieci anni di lavoro, si può notare, credo, una maggiore concentrazione totemica nei primi di questi arazzi degli anni Settanta, d’altra parte risolti in grandissime dimensioni, e una maggiore propensione narrativa negli ultimi, di dimensioni più circoscritti, e in certo modo più dialoganti con la pittura di Visca, mentre i primi sono più segnati dalla precedente esperienza delle costruzioni oggettuali polimateriche. Per esempio un tema ricorrente negli uni e negli altri, il “paesaggio”, nei primi è più enigmatico, più misterioso, mentre nei secondi si distende in un racconto fantastico essenziale, ma certo più discorsivo nella descrizione dei suoi diversi elementi.
Sono oggetti sempre comunque di straordinaria preziosità, che traspongono cioè l’immagine appunto ad un livello ove il prezioso, materico quanto iconico, è magico e fantasticamente involvente. Ove dunque si esaltano le qualità tipiche dell’immaginario di Visca, circolante del resto con la medesima autorità suggestiva nelle diverse esperienze da lui attraversate e nelle stesse contemporaneamente frequentate. Giacché Visca è artista liberamente operativo in modalità diverse di manufatto, pur in una medesima tensione appunto allo spiazzamento favoloso, che tuttavia realizza in differente intensità proprio attraverso le differenti occasioni operative che va coltivando.»

(Enrico Crispolti, “Gli arazzi”, testo nella monografia – Sandro Visca “Cuciti”, Edizioni del Gallo Cedrone, per la mostra personale al Forte Spagnolo dell’Aquila, ottobre 1986).

 

«Con i Cuciti di Sandro Visca, esposti nel Forte cinquecentesco dell’Aquila dopo oltre dieci anni d’ininterrotta e solitaria sperimentazione, la storia dell’arazzo contemporaneo viene ad arricchirsi di un capitolo inedito. Progetto (schizzo grafico = cartone) e realizzazione dell’opera, di mano dello stesso artista, spazzano via la discriminante ideologica arte/artigianato: il fare pittorico è riportato alla primigenia unità con tele, pennelli e colori rimpiazzati da ago, filo, bottoni, stoffe, pelli, ecc. L’assemblaggio di materiali poveri, decorati e decoranti, riecheggia stilemi cari al new‑dada, per la verità ingentiliti esteticamente da un’atmosfera liberty. In questi autentici quadri dipinti in un plein‑air tutto mentale, la kleeniana “Teoria della forma e della figurazione” prende corpo in paesaggi fatati, preservati, con l’incantesimo creativo di Visca, dalla metastasi ecologica causata dal progresso tecnico‑scientifico. La fisicità di casette, prati, radici, asparagi, onde, nuvole, fulmini e stelle (apparterranno anch’esse all’ecosistema) è rappresentata a due sole dimensioni: una linea d’orizzonte fa da cesura tra alto e basso, sopra e sotto, e da collegamento concettuale tra magia esperita e realtà evocata. C’era una volta: verrebbe la voglia di qualificare fabulatorio il racconto di Visca. Ma ben altre sono le implicazioni etiche, può dirsi, del radicale rifiuto nell’accettare passivamente il rantolo agonico di una natura segnata per sempre. Da qui, l’azzeramento della ragione “metafisica” e la negazione della prospettiva rinascimentale; da qui, il trionfo di una fantasia “infantile”, iridescente ed imprevedibile, plasmatrice di una realtà altra. C’è di più. La lentezza gestuale del tagliare e del cucire è la stessa del tessere e del seminare: rovescio della medaglia informale, dove è la velocità di un altro gesto a far urlare rabbia e protesta. Da un lato il tempo paziente della natura, dall’altro quello accelerato della storia. Il lavoro di Visca può ben essere ricondotto nel filone del “pattern painting”: a condizione di non confondere lo “slang” degli artisti americani con il “dialetto” della civiltà abruzzese.»

(Antonio Gasbarrini, Sandro Visca, “Questarte” 52, Pescara, dicembre 1986, p. 108).

 

A chiusura della mostra “Cuciti” il Presidente della Regione Abruzzo Gaetano Novello acquisisce l’opera “Sogno di un paesaggio di mare” (arazzo cucito – cm.155×195 –  anno 1986) per destinarla alla collezione d’arte della Regione Abruzzo.

-Visca partecipa ad una mostra collettiva di autori contemporanei al Museo Archeologico di Spalato a Spalato, Croazia.

-È invitato alla XXXVIII Mostra Nazionale di Pittura F.P. Michetti “Il mare” a Francavilla al mare. Espone “Onda anomala” (tecnica mista su tela, cm. 200×150), “Grande fuoco di mare” (tecnica mista su tela, cm. 200×150), “Sogno di un paesaggio di mare” (arazzo cucito, cm. 155×195) e gli viene conferito un premio acquisto. La mostra è a cura di Enrico Crispolti. luglio / agosto.

-È invitato alla Ottava Mostra Città di Penne “Disponibilità dell’Immagine” al Chiostro di San Domenico di Penne. Espone “La cassapanca dei giochi proibiti” (tecnica mista su tela, cm. 120×150), “La scatola dei fuochi” (tecnica mista su tela, cm. 133×205), “Il tavolo della festa” (tecnica mista su tela, cm. 200×150), “Quando cadono le stelle” (tecnica mista su tela, cm.133×205). 2/25 agosto.

-Partecipa alla mostra “Arte & Territorio”, L’uomo e la natura, alle Scuole Comunali di Collelongo. Espone “La scatola dei fuochi” (tecnica mista su tela, cm. 133×205), “Dolce tempesta” (collage dipinto, cm. 50×70). La mostra è a cura di Marcello Ventuoli. agosto.

-Visca insieme a Alfredo del Greco, Elio Di Blasio, Giuseppe Fiducia e Franco Summa partecipa alla mostra “Cinque artisti e una città” alla galleria Questarte di Pescara. Espone “Grande fuoco di mare” (tecnica mista su tela cm. 200×150), “Ricordo di un’isola sognata” (tecnica mista su tela, cm. 100×150), “Ricordo di un paesaggio sognato” (tecnica mista su tela, cm. 100×150). La mostra è a cura di Eugenio Riccitelli. 19 luglio / 30 agosto.

-È invitato al Premio Nazionale di Pittura Cappelle sul Tavo al Centro Mammuth di Spoltore. La mostra è a cura di Mario De Micheli. 15/23 novembre.

1987
Di quest’anno è il tappeto tessuto a mano “Notturno da terra” (cm. 290×230) fatto realizzare da Visca, su suo disegno, durante un viaggio in Turchia.

-Visca è invitato alla mostra “Alternative attuali” Abruzzo 87, al Forte Spagnolo dell’Aquila. Espone”La scatola dei fuochi” (tecnica mista su tela, cm.133×203), “Quando cadono le stelle”(tecnica mista su tela, cm.133×203), “Ricordo di un paesaggio sognato (tecnica mista su tela, cm.100×150), “Paesaggio di fuoco (tecnica mista su tela, cm.100×100). La mostra è a cura di Enrico Crispolti. 22 marzo / 26 aprile.

-Sandro Visca replica la mostra personale “Cuciti” alla galleria Questarte di Pescara. 9/25 aprile.

-Visca espone tre arazzi cuciti alla Gallerie du Pommier a Neuchatel, Svizzera. Espone “Nascita di un asparago d’oro” (arazzo cucito, cm. 150×198), “Notturno marino” (arazzo cucito, cm. 150×197), “Pelle di paesaggio” (arazzo cucito, cm. 145×200). maggio / giugno.

-È invitato alla mostra “Caitanya”, Arte per la pace, al Palazzo Venezia a Roma. I testi nel catalogo sono di: Jolena Baldini, Carmine Benincasa, Angelo Calabrese, Renato Civello, Enrico Crispolti, Giorgio Di Genova, Antonio Gasbarrini, Domenico Guzzi, Italo Mussa, Ugo Piscopo, Pierre Restanj, Pier Carlo Santini, Marcello Venturoli, Marisa Vescovo. Espone “Paesaggio con nuvoletta bianca” (arazzo cucito realizzato per Casa Vogue, cm. 97×153). 7 maggio / 15 giugno.

-Il 6 giugno apre la mostra personale “Sandro Visca” alla galleria La Stadera di Sulmona. Espone arazzi cuciti e cartoni cuciti.

-Visca è invitato alla mostra “Itineraires Paralleles” al Palazzo del Ghiaccio di Neuchatel, Svizzera. La mostra è a cura di Enrico Crispolti. 15/25 maggio.

-Espone un libro d’artista, eseguito a mano in tiratura limitata, “Per un cuore rosso sul Gran Sasso”, alla mostra “Dalla Bibbia di Guttemberg al libro telematico” alla Casa D’Annunzio di Pescara. La mostra è a cura della Casa Editrice del Gallo Cedrone. 6 agosto / 12 settembre.

-È invitato alla mostra “Parallel Itineraires”, Festitalia 87, alla University Art Gallery – Mc Master, Hamilton, Ontario, Canada. Espone “Piccolo paesaggio in bianco” (arazzo cucito, cm. 105×98), “Grande fuoco di mare” (tecnica mista su tela, cm. 200×150). La mostra è a cura di Enrico Crispolti.

-Partecipa alla mostra “20 Artisti per il Nicaragua” a cura dell’Associazione Italia – Nicaragua di Avezzano. 21/29 ottobre.

-Da una idea di Visca nasce la mostra “12 Piatti di 12 Artisti” allo Scalco delle Tre Marie al Palazzo Iacopo Notar Nanni dell’Aquila. Espone “Asparagi” (piatto in ceramica in unico esemplare, ø cm. 30).

1988
Visca apre a Pescara la Scuola Italiana d’Arte dove per due anni, oltre che a dirigerla, vi insegna pittura e tecniche grafiche del disegno.

-Aderisce alla Prima Mostra di Artisti Abruzzesi a favore dell’UILDM alla Sala dei marmi della Provincia di Pescara. 4/9 gennaio.

-Visca è invitato alla Biennale Internazionale del mare “Mare & Mare”, Il mare nelle arti visuali, a Castel dell’Ovo a Napoli. Espone “Onda anomala” (tecnica mista su tela, cm. 200×150). La mostra è a cura di Marcello Venturoli. giugno.

-È invitato alla mostra “Dittico” all’Università degli studi dell’Aquila, Facoltà di Magistero. Espone “Stelle di fuoco” e “L’uccello cometa” (collage dipinto, cm. 50+50×56). La mostra è a cura di Antonio Gasbarrini. 1/12 giugno.

-Visca è presente alla mostra “Itinerari paralleli” al Centro Congressi di Montesilvano. Espone “Notturno marino” (arazzo cucito, cm. 150×197). La mostra è a cura di Enrico Crispolti. 23 maggio / 12 giugno.

-È invitato alla mostra “Alternative attuali 88”, Pittura per musica, al cortile del Convitto Nazionale e al cortile del Palazzo di Città dove I Solisti Aquilani e il violinista Felix Ayo sono stati diretti dal M° Vittorio Antonellini.

-Espone “L’estate 2° movimento – Antonio Vivaldi (n. 6 cartoni eseguiti a collages, dipinti e cuciti, cm. 50×70 cad.). La mostra è a cura di Enrico Crispolti. 23 luglio / 7 agosto.

-È presente alla mostra “Artisti per L’Aurum” all’ex Aurum di Pescara.

-Visca è invitato alla mostra “Laboratorio d’Abruzzo”, Ripe 88, alla Pinacoteca Comunale di Ripe San Genesio. Espone “Caduta di una stella” (stoffe cucite, cm. 34×34), “Fuoco marino” (stoffe cucite, cm. 34×34), “Fuochi sulla montagna” (stoffe cucite, cm. 34×34). La mostra è a cura di Enrico Crispolti. luglio.

1989
-Sandro Visca, “Il quadro del mese”, Associazione Culturale Florian Espace, Teatro Florian Espace, Pescara. Espone “Paesaggio interno” (tecnica mista su tela, cm. 200×150) 4 marzo.

-Visca è invitato alla mostra “Duplice versante”, Quarta Rassegna d’Arte Contemporanea al Palazzo Comunale di Campomarino. Espone “Piccolo paesaggio in pelle” (arazzo cucito, cm. 50×50). 1/15 luglio.

-È invitato alla mostra “Arte Abruzzo 90/1”, Ragioni e finalità di una proposta, allo Spazio Arte “Di Loreto” di Pratola Peligna. Espone “Tramonto di fuoco” (tecnica mista su tela, cm. 100×100), “Tempesta al pistacchio” (tecnica mista su tela, cm. 100×100). La mostra è a cura di Carlo Fabrizio Carli. 15/30 luglio.

-Visca è invitato al Sesto Premio Internazionale di Pittura “Amore & Amore” al Comune di Lampedusa. La mostra è a cura di Marcello Venturoli. agosto.

1990
-Visca è invitato alla X Mostra d’Arte Città di Penne “Il segno e i suoi dintorni” Biennale 90-91. Espone “Dopo i fuochi di mezzanotte” (struttura in legno dipinto e stoffe imbottite, cm. 130x22x180), “Ripostiglio proibito” (struttura in legno dipinto e miscele di stoffe, cm. 75x15x160). La mostra è a cura di Antonio Gasbarrini e Renzo Margonari. 28 luglio / 25 agosto

1991
Il 17 gennaio viene invitato dall’Istituto di Lingue Romanze dell’Università G.D’Annunzio di Pescara a partecipare al convegno “Il Perù nel quinto secolo dalla conquista”. Nel suo intervento: “Il Perù, appunti di viaggio”, Visca disquisisce sulla sua esperienza tra le Ande proiettando un gran numero di fotocolor selezionati tra i quasi quattromila fotogrammi scattati durante la sua spedizione nella Sierra e in Amazzonia peruviana. In questa circostanza conosce Joaquin Roca-Rey, raffinato scultore immaginario surreale, già da molti anni addetto culturale all’Ambasciata peruviana di Roma. Roca-Rey viene invitato da Visca nel suo studio e nasce tra loro un’espansiva stima che li porterà a frequentarsi e scambiare opinioni sia sul lavoro artistico che sulla scabrosa realtà peruviana, per la quale Joaquin Roca Rey ne pativa fortemente profonde sofferenze.

-Visca apre la mostra personale“l giardini dell’amore” allo spazio espositivo della Casa Editrice L’Acacia dell’Aquila. Espone arazzi cuciti sculture polimateriche e sculture in bronzo e ferro. Nel pieghevole della mostra sono contenute due opere grafiche numerate e firmate dall’autore in tiratura limitata. I testi nel pieghevole sono di Sandro Visca e Fernando Tempesti.

-Sandro Visca è invitato alla mostra “Textilia 91” Pittura tessuta, Secondo confronto europeo: La Spagna, insieme agli artisti Enrico Accatino, Giacomo Balla, Afro Basaldella, Mirko Basaldella, Corrado Cagli, Fortunato Depero, Piero Dorazio, Pasquale Liberatore, Bruno Munari, Enrico Prampolini e Mauro Reggiani. Espone “Nascita di un asparago d’oro” (arazzo cucito cm. 150×198), “Ricordo di un paesaggio sognato” (tecnica mista su tela, cm. 100×150). La mostra è a cura di Enrico Crispolti. 9/22 dicembre.

-Nello stesso anno apre la mostra personale “Visca” alla galleria Experientia Arte & di Teramo. Espone arazzi cuciti, tele dipinte a tecnica mista e cartoni dipinti e cuciti. Nel pieghevole della mostra il testo è di Nerio Rosa. 30 novembre / 27 dicembre.

«Nelle opere di Visca non c’è alcuna parvenza aneddotica, non c’è svolgimento narrativo, non c’è allusività misterica, non c’è citazionismo eclettico: tutto si raccoglie e si esalta nella fissa e trasparente rappresentatività degli elementi di superficie e nella loro costruzione mai concettuale né naturalistica, ma trasognata nella comunicatività immediata di un segno che delimita nitidamente i simboli dell’ambiente, individuati da occhi candidi ed essenzializzanti.
Anche i materiali sono elementi caldi, soft, intimi, con accostamenti di tipo polimaterico, con tessuti, collages, dipinti, che rendono sempre il candore di un ambiente sereno e rassicurante, colto nell’immaginario di simboli primari iconici di ludico fiabesco.
Sono le icone della prima scoperta del mondo agli occhi ancora puri e incontaminati di un genio interiore, che fissa con immagini fanciulle un paesaggio senza tempo di riferimenti nitidamente essenziali, di archi di cielo, notturni, foglie, voli, nuvole, profili di case, onde marine, astri, folgori, che negli arazzi cuciti si caricano di ridondanze, di reticoli colorati, di fitte pigmentazioni, di trame ricche e policrome, sino a destare la sensazione di un sogno, il cui nitore distanzia e rimuove una leggerezza di fondamento, non priva di centralità, che contrasta con lo spaesamento e il nomadismo che percorrono la complessità del mondo contemporaneo. È come se Visca avesse coltivato una sua scoperta primitiva del mondo nelle sue permanenze più semplici e rarefatte, senza mediazioni culturologiche con la crisi nichilistica, che toglie sicurezza a chi affronti una visione dinamica delle dispersioni di una storia sociale e antropologica, per rinvenire sotto di essa e oltre di essa il profilo rassicurante e l’intimità non dissociata dall’ambiente. Il gioco dell’immaginario dell’eterno fanciullo che è in noi sa fissare una tale visione con pochi e saldi punti di riferimento nelle figurazioni bidimensionali scaturite da una rilettura del paesaggio intimo delle prime scoperteIl dettaglio dell’elaborazione non ha però la semplicità della riscoperta di un mondo fiabesco visto da un bambino, o da un adulto che utilizzi questo vettore secondo la grafica di un cartoonist o di un pubblicitario. C’è invece una sapienza artigianale che si fissa su moduli minimali ed inediti, per rendere la cura e la vaghezza di chi ha già effettuato una scoperta di piccoli mondi inseriti nel quotidiano, ma insieme «paralleli» per lo sguardo ravvicinato e caldo con cui sono colti. L’immagine presenta così una nuova dimensione che ci sfugge, e che tuttavia è sempre magicamente presente per chi abbia la predisposizione ad assecondarla, non appena si fissa nella rëverie. Di qui il senso trasognato di oggetti sempre presenti nelle piccole opere richiamate alla memoria, nella partecipazione alle corrispondenze d’ambiente, ma senza volontà di ambientazione, nell’attenzione alle minute e dolci presenze di una quotidianità contemplativa, senza la riflessione analitica dell’intelletto, ma col coglimento diretto del simbolo che resta depositato nell’immaginazione. Più che la volontà di rappresentazione del gioco perduto, del candore di uno sguardo che più non ci appartiene, c’è la fissazione delle icone del paesaggio dell’infanzia perenne, che la civilizzazione non può abrogare senza perdere l’intimità calda delle sensazioni tattili e visive del mondo colorato, proibito, fiabesco, che ci lega in sintonia alla natura, prima che intervenga ogni diaframma del pensiero riflessivo.
Per questo Visca ha condotto fino in fondo una ricerca da isolato? Ci pare piuttosto che abbia condotto un itinerario suo proprio, per attraversare con una sua risposta alcune problematiche centrali delle temperie artistico‑culturali del nostro tempo.
Se Baj ha rappresentato negli anni passati un riferimento linguistico per Visca, per il suo ricco cromatismo polimaterico e per i tratti di rappresentazione bidimensionale delle icone, non ha però lasciato traccia delle suggestioni storiche e cronachistiche degli eventi emblematici, nella stagione degli impegni ideologici. Al tramonto delle ideologie, Visca continua a mostrare una continuità ed una coerenza per la esemplificazione di un suo mondo fantastico nelle visioni più semplici ed essenziali dei momenti permanenti dotati di una carica di affettuosa aderenza verso i segni primordiali, che continuano però a travalicare il tempo e lo spazio. In una qualche maniera Visca ha quindi risposto non da isolato al problema centrale di un’età di incertezze e di smarrimento, mirando non alla fuga, né al coinvolgimento del fittizio realismo delle ideologie in universi magici irreali, ma al ritrovamento delle immagini eterne della memoria che possano consentire di reperire, nella complessità ingovernabile del presente, i segni grafici e attuali di ciò che conta per sfuggire all’indeterminatezza erratica, senza ritrovarli nella storia transeunda, ma nelle evenienze più semplici ed essenziali. Lo ha fatto mirando a quel mondo caldo, partecipe di segni primari della vita e dell’ambiente, che solo chi ha coltivato il disincanto verso le sicure certezze degli iconoclasti sa ritrovare con gli occhi puri delle scoperte primigenie dell’infanzia della vita e di ogni civiltà nascente.
È quanto ha tentato di fare la ventata postmoderna, quando, crollate le certezze delle grandi narrazioni ideologiche del Moderno, ha voluto ritrovare negli accostamenti eclettici di passate e più recenti stagioni una nuova verginità della citazione, sottratta alla contestualità di senso di una continuità storica e sociale obbligante. Ma, mentre il Postmoderno ha imboccato questa via attraverso la dominanza della complessità trasversale ed instabile tra icone diverse, che dovevano restituire nuova significatività a logorati modelli semantici, così come nel caso di Meyer Vaisman, che adotta un linguaggio polimaterico comparabile a quello del nostro, ma con l’intreccio dell’immaginifico antico e moderno nei suoi arazzi, Visca ripropone al contrario una dominanza di icone primarie dell’immaginario antropologico senza tempo né spazio, che funge da attrattore degli elementi analitici, ricchi, complessi, diffusivi, ridondanti, che mostrano la consapevolezza di un attraversamento contemporaneo, di una realtà magmatica e sovrabbondante, ma governandone il senso attraverso la riconduzione a modelli elementari della purezza sovrastorica. Con questo percorso inverso, Visca suggerisce in apparenza un isolamento; che è invece un ribaltamento coerente della ricerca di una via di ripristino di senso alla mancanza di fondamento dell’età postmoderna, cui partecipa con pieno coinvolgimento, suggerendo solo la ricerca più diretta di immagini incontaminate, che prevalgono sul disordine, invece di assecondare il filone più influente della dominanza della complessità sulla semplicità originaria.»

(Nerio Rosa, Coerenza ed epocalità nei lavori di Sandro Visca, testo nel pieghevole della mostra personale “Visca” alla galleria Experientia Art & di Teramo, 30 novembre / 27 dicembre 1991).

 

1992
-Visca allestisce l’installazione “Firmamento di terra” (balle di paglia e luci a fiamma) nella piazza di Collelongo. La manifestazione è a cura del Teatro dei colori di Avezzano. 4/5 gennaio.

-Dal 7 maggio al 30 giugno apre la mostra Sandro Visca “Paesaggi di fate” allo Studio Spica Design di Roma insieme agli scultori Marcello Aitiani, Mauro Berrettini, Rinaldo Bigi, Nado Canuti, Pietro Cascella, Annamaria Cesarini Sforza, Girolamo Ciulla, Daniel, Cordelia Von Den Steinen. Espone arazzi cuciti, tele dipinte a tecnica mista e cartoni cuciti.

-Sandro Visca è invitato all’Expo Mondiale di Siviglia “Expo 92” Pabellon de las Artes – Algunos recorridos del arte contemporanea en Italia a Siviglia, Spagna. Espone “Paesaggio” (arazzo cucito, cm. 142×195), “Paesaggio” (arazzo cucito, cm. 170×230), “Paesaggio” (arazzo cucito, cm. 160×200), “Notturno marino” (arazzo cucito, cm. 150×197), “Pelle di paesaggio” (arazzo cucito, cm. 145×200). Nel catalogo i testi sono di Paolo Portoghesi e Egidio Maria Eleuteri. 21 settembre / 12 ottobre.

1993
-Visca partecipa alla mostra “Omaggio a Spoltore”. Espone “L’albero dei sogni” (arazzo cucito, cm. 50×50). Spoltore 25 settembre / 2 ottobre.

1995
-In aprile apre la mostra personale “Sandro Visca” alla Brioni Roman Style sulla 52a Strada di New York. Espone una serie di cartoni dipinti e cuciti.

Il 13 marzo 1995 Ruggero Pierantoni, ricercatore presso l’Istituto di Cibernetica e Biofisica del CNR di Genova e studioso di neuroscienze e psicologia cognitiva, nonchè Visiting Professor presso il Dipartimento di Architettura dell’Università della Pennsylvania a Filadelfia, visita lo studio di Visca e prende visione del lavoro dell’artista per redigere un testo di presentazione alla mostra personale “Sandro Visca” 1974-1994, che viene allestita presso la Sala del Diritto Comune del Palazzo Ducale dell’Università degli Studi di Camerino (21 ottobre/4 novembre 1995). In occasione di questo incontro Visca ha la possibilità di uno stimolante scambio di opinioni con Ruggero Pierantoni sulle scelte progettuali del “Grande firmamento”, opera ambientale predisposta per le manifestazioni estive dell’Ente Manifestazioni Pescaresi (agosto 1995).

«Come è possibile vivere in un ordine così mostruoso?» Si chiede l’amico Pierantoni, mettendo piede per la prima volta nello studio di Visca. E per un momento si inverte il cliché che vuole il primo‑scienziato‑rigoroso e preciso e l’altro‑il pittore‑immerso nel disordine caotico ma creativo degli artisti. Niente a che vedere, insomma, con quadri ed arazzi appesi in bell’ordine; tele diligentemente appoggiate alle pareti, come appena spolverate; gomitoli e rotoli di filo sistemati accuratamente nei ripiani; bottoni, aghi, passamanerie riposti nelle scatole come nella più organizzata merceria: ogni cosa sembra aver trovato il proprio posto – che è quello e non un altro – in un ordine quasi sacrale che sconcerta il visitatore.
«L’ordine mi viene da un certo tipo di educazione familiare, dal mio ambiente… Ed oggi rappresenta il mio modo naturale di essere. Ma è anche un modo come un altro per difendermi da certi disordini mentali che ho e che vivo in rapporto al mondo: insomma una reazione inconscia a tutto quello che dentro di me è fuori posto e a tutto quello che nel mondo vorrei fosse più umano, più civile….». Ecco, civile. Ti accorgi subito di come questo aggettivo sia il più adatto a riassumere in una parola la poliedrica eppure limpida personalità dell’artista, a dare l’idea di una descrizione anche solo esteriore del personaggio.
Alto, fisico asciutto, viso fiero incorniciato da una barbetta accurata, modi da gentleman, non smentiti dall’abbigliamento informale (jeans, scarpe da tennis e pullover), che anzi denota nei particolari la ricerca di un decoro e di un rigore anche esteriore, Visca porta con disinvolta eleganza i suoi cinquant’anni. Tutto in lui trasmette un senso di tolleranza, apertura, disponibilità al dialogo, in una parola civiltà. Che poi non sia neutralità e tanto meno impassibilità inglese, lo rivelano gli occhi, o meglio quella morbidezza e pastosità dello sguardo che cerca nell’altro una comunanza di idee, un calore umano, un cenno di intesa, svelando la «gentilezza» di un animo tipicamente abruzzese, attaccato alle tradizione della sua terra, a quelle «stratificazioni culturali» dalle quali ha «potuto trarre gli stimoli e le motivazioni per la ricerca.»
Visca è uno di quegli artisti che, decidendo per una scelta affettiva, di vivere ed operare in Abruzzo, praticano quotidianamente la virtù della «resistenza», di fronte all’indifferenza culturale delle istituzioni.
«Sono tornato in Abruzzo nel ‘68 perché non credevo alla situazione politica del momento, alla possibilità di fare il cartello della contestazione. Credevo invece in un’altra via d’uscita, che era quella della possibilità di riproposte, per indicare nuove vie di costruzione del sociale. Purtroppo questo non è avvenuto. Ma sono convinto che un artista per esprimersi veramente non può essere legato a nulla, né al successo né alla critica, né al mercato, né tanto meno, a quello che le mode del potere richiedono. Personalmente ho cercato di vivere la mia storia d’artista dentro una libertà totale di pensiero, lontano da qualsiasi condizionamento….»
Pittore, scultore, arazziere, un po’ poeta e un po’ filosofo, Visca si è espresso attraverso un lavoro polivalente – dove non è mancata persino la realizzazione di un film d’arte – per una curiosità innata verso la sperimentazione e la ricerca di nuovi modi d’essere, perché, come ama affermare «la verità non esiste, ma sarebbe disastroso non cercarla.»
Nato come pittore figurativo, dopo una fase post‑informale, è ritornato alla figura, per passare piano piano alla rappresentazione di quel mondo magico, favolistico dell’ultima produzione, dove un ruolo fondamentale ha il “cucito”, quell’intenso “lavoro di strappo e costruzione” dietro cui i critici hanno rinvenuto complesse motivazioni di natura psicologica ed antropologica.
Più semplicemente per lui il cucito rappresenta il recupero di una passione nata per gioco nell’infanzia, quando, nella casa isolata fuori dell’Aquila, si divertiva a realizzare abiti per le bambole della sorella o costumi per le rappresentazioni teatrali che inventava nel teatrino costruito in giardino.
«Fu così che negli anni ‘70 ho iniziato a realizzare delle sculture di pezza, dei feticci, dei pupazzi enormi, creati con stoffe diverse ed altri orpelli. E nel ‘74 ho messo in atto il primo arazzo cucito, fino ad arrivare agli ultimi quadri che sono fatti di stoffa anche se tirati su un telaio.»
Tu parli di operatività, ma quanta parte ha l’ispirazione nel lavoro di un artista?
«L’ispirazione è una cosa che hanno inventato i dilettanti e la sottocultura. Fare pittura da professionisti è un lavoro e come tale va svolto con rispetto, anche quando non se ne ha voglia e si avverte il fastidio della fatica fisica. Il ruolo dell’artista non è quello di un visionario sognatore in attesa dell’ispirazione, ma quello di un individuo che si interessa dal vivo, attraverso la propria coscienza e partecipazione, dei problemi che riguardano il mondo.»
Un mondo che Visca osserva però con sempre maggiore disagio per “la volgarità del sociale” che incombe e che sembra spingerlo ad evocare nei suoi “cuciti” un universo remoto, magico: ora perso nella sontuosità di immagini bizantineggianti, ora nostalgicamente descritto nella semplicità di un Abruzzo naturale e primitivo, ridotto ai suoi segni essenziali: il mare, la natura, il monte…
Non c’è figura umana nei cuciti di Visca, come se la presenza dell’uomo potesse portare solo disordine in quell’universo netto, nitido, senza sfumature ed ambiguità, giocato spesso su di un solo colore: il rosa, il grigio, il bianco, l’azzurro. O potesse disturbare l’immobile magia di momenti che assurgono ad eventi cosmici e per questo richiedono il nostro rispetto: la nascita di un asparago, la caduta di foglie d’oro, l’attesa del fagiano dorato, come recitano i titoli di alcune tavole.
E fin dalla geometrica precisione dei titoli, Visca sembra voler far ordine, mettere ogni cosa al suo posto, non lasciare spazio a interpretazioni errate, dietrologie che si nutrono di se stesse e perdono di vista la semplicità e perfezione dell’esistenza che egli vuole ritrarre come modello per il nostro vivere schizofrenico.»

(Daniele Cavicchia, La civile “resistenza” nelle opere di Visca, “Il Messaggero”, Pescara, I giugno 1995, p. XIII).

 

-In agosto, invitato dall’Ente Manifestazioni Pescaresi, Sandro Visca allestisce all’Ex Gaslini di Pescara l’ambientazione “Il grande firmamento” (struttura in legno, pavimento inclinato di cinque gradi foderato in feltro nero, interno totalmente oscurato, soffitto dipinto su tela nera con tempere fluorescenti e illuminato con lampade di Wood. Ingresso m. 2x2x2,50 chiuso con tende nere, spazio interno m. 5x5x3,50).

Musiche tratte da:

LA MUSICA NUOVA

Gazzelloni / Maderna

Karlheinz Stockhausen

KONTRA – PUNKTE

Krzysztof Penderecki

AUX VICTIMES DE HIROSHIMA – THRENE

Frederick Rzewski, pianista

Solisti dell’Orchestra Sinfonica di Roma diretti da Bruno Maderna

Nel catalogo della mostra il testo è di Daniele Cavicchia.

«Potrebbe accadere, improvvisamente, a ciascuno di noi di perdersi. Ci si potrebbe perdere in un bosco, nelle strade di una grande città, oppure davanti casa, nella nebbia, come accade al padre del protagonista del film di Fellini “Amarcord”.
Ma a volte accade di perdersi in se stessi, o in sogni angosciosi e al risveglio cercare un appiglio, qualcosa di conosciuto, per ristabilire le giuste coordinate. Altre volte il perdersi diventa una scelta disperata, un modo alienato e artificiale di fuggire la realtà.
Altre volte ancora, perdersi è disperdersi: nella frettolosità e fatuità del quotidiano, nella superficialità dei rapporti, nella menzogna degli impegni e degli alibi che ogni momento ci costruiamo per non fermarci un attimo a riflettere su noi stessi.
Camminare a capo chino è ormai prerogativa dei più, un modo di perdersi camminando, un modo per disconoscere i propri simili, un modo per non farsi riconoscere nemmeno da se stessi.
Potrebbe accadere, però, di trovarsi davanti a qualcosa di bello e inusuale, che ci costringe a fermarci ed alzare lo sguardo, per quel richiamo istintivo che viene da dentro e che la ragione non riesce a spiegare. Un paesaggio, come una scultura o un quadro, una poesia… tutto ciò che per un momento colpisce i nostri sensi e ci induce a riflettere.
E l’opera diventa il pretesto per parlare un po’ con se stessi, per confrontarsi, per scoprire se siamo ancora in grado di apprezzare il bello, di discernere il bene dal male.
Ecco allora l’artista, più avvezzo ai contatti con lo spirito, che si fa tramite, suo malgrado (perché il vero artista crea per sé) tra il noi conosciuto (che un po’ temiamo) e l’altro noi, quello ancora in grado di stupirsi, come il fanciullino pascoliano.
“Il grande firmamento” di Sandro Visca sembra porsi in quest’ottica di provocazione: provocare quell’incontro di noi con noi stessi che da tempo rimandavamo, ma al quale, nello spazio limitato e buio del suo cubo, non possiamo più sottrarci.
L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, l’universo e l’uomo. Ogni cosa cerca il suo opposto e finisce con il trovarlo, secondo una legge non scritta. Costretto nel buio disorientante della stanza, tra vertigine ed equilibrio, ad alzare lo sguardo verso il cielo stellato riprodotto da Visca sul soffitto, lo spettatore non potrà, poi, che ripiegare su se stesso, ritrovarsi, anche se per un attimo, dopo essersi a lungo perso. Perché lo spazio infinito che si apre ai suoi occhi, calamitandolo con i suoi punti luminosi, è la stessa voragine sconosciuta della sua anima che egli teme di esplorare, ma che, suo malgrado, gli si spalanca davanti. La scatola magica di Visca vuole essere la benevola trappola che l’artista tende all’ignaro visitatore, un po’ giocosamente e un po’ seriamente, come è nella sua natura affabile e nient’affatto prevaricatrice, per “costringerlo” a cercare il cielo, a scoprire la meravigliosa architettura delle stelle, a perdersi, per una volta, nell’immensità dello spazio e non più nell’angustia dei suoi limiti, a svelare la sua stessa natura infinita.
Di Visca conosciamo i paesaggi nitidi e poetici, dove le stelle fanno capolino, lontane e ammiccanti, come nei disegni dei bambini. Paesaggi fintamente ingenui, immobili, irreali, come in un sogno d’evasione, dove lo sguardo può riposarsi e ritemprarsi dallo squallido disordine delle architetture urbane. Lì la provocazione è forse più soft, sottintesa, in un gioco di allusioni e di rimandi non sempre esplicito. La “nascita di un asparago”, sbattuta in primo piano sulla tela come sulla prima pagina di un giornale, al di là dell’immobile magia descrittiva, apparentemente fine a se stessa, è forse la satira sottile di una certa affannosa corsa degli uomini dietro che? che cosa?, perdendo di vista la semplicità e perfezione della natura che si rinnova secondo leggi ordinate e ineluttabili: in un asparago che nasce come nelle foglie autunnali che cadono o nell’esatta geometria di un cielo stellato.»
Nella nascita di un asparago o nel cubo nero, abita la stessa coerenza.

(Daniele Cavicchia, testo nel catalogo per l’ambientazione “Il grande firmamento” all’Ex Gaslini di Pescara, agosto 1995).

 

Dal 21 ottobre al 4 novembre apre la mostra “Sandro Visca”, 1974 – 1994, al Palazzo Ducale nella Sala del Diritto Comune dell’Università degli Studi di Camerino. Espone quasi cento opere tra arazzi, tele dipinte a tecnica mista e sculture). Nel catalogo della mostra i testi sono di Lucio Fraccacreta, Enrico Crispolti, Tito Spini e Ruggero Pierantoni.

«Va detto subito che ogni uomo vorrebbe avere l’aspetto del Sean Connery maturo, l’aspetto appunto che Sandro Visca si porta in giro, con calma e con serenità. Ma io, in particolare, vorrei vivere nell’ordine pulito attento e rigoroso dello studio dove disegna, pensa e forma le sue opere. Un ordine che tanto contraddice le disordinate furie pseudo‑creative di tanti studi spiritati e fasulli, di tanta deprimente e scoraggiante ideologia della creazione ad ogni costo. Creazione che dovrebbe, per necessità, sorgere da stanze in disordine, da pavimenti ingombri, da muri imbrattati di inutili segni “creativi”. Lo spazio attorno a Visca è semplice chiaro, gli strumenti sono amati, protetti, arrangiati nel loro inevitabile ordine gerarchico. L’unico ordine che sancisce il grado di aristocrazia: lo strumento più nobile è quello, al momento, più usato. E, come tale, domina discretamente sugli altri. In attesa di essere sostituita dall’ago e dal filo e dal cuoio la matita siede al posto giusto. Sarà, più avanti, il ruolo dominante della sgorbia, del bulino, del trapano a modificare ancora una volta, con precisione funzionale, questa mobile scala sociale degli strumenti.
Non so se il paragone farà piacere a Visca ma il suo studio mi ha ricordato fittamente nei particolari un immenso garage nel nord più nord del Canada dove viveva una donna giovane e, apparentemente, sola. Vi ricorremmo per un guasto al camper. Essa aveva tutti gli strumenti in ordine immacolato, tutte le forme di cacciaviti, di trapani, di livelle… mi ricordò, essa, Calipso che porta a Ulisse seduto sulla riva e disperato di partire tutti i necessari strumenti, che essa evidentemente possedeva e conservava. Dea solitaria al limite del mondo umano e divino.
Mi domanderei adesso a quale viaggio immobile si appresta Sandro Visca da questa plancia di comando così geometrica, uniformemente luminosa e onestamente abitata. E poiché per i viaggi occorrono le carte geografiche e i cammini mi pare che queste tre stanze siano la sede della evocazione e della rappresentazione di mondi da visitare, non da conquistare. Da amare, non da possedere. Che si tratti di viaggi e di mappe me ne ci sono convinto, anche se la convinzione non corrisponde forse all’intenzione di Visca. Ma nell’idea di viaggio si integra forte e definitivo il senso della possibilità di vivere e quindi l’attitudine gentile e sicura che vale la pena di muoverasi. Che vale la pena di inseguire dei segni, delle correnti, dei profili di monti. E, se ne vale la pena, vuol dire che di vivere vale la pena.
L’altro aspetto gradevole di Visca è la coscienza tranquilla che le cose potrebbero andare infinitamente meglio ma che non conviene urlare, dimenarsi, agitarsi, lanciare sguardi allusivi e carichi di “indignazione”.
Il compito che egli si è attribuito è quello di tracciare, per se e per gli altri, linee di fuga, uscite di sicurezza, aprire porte e finestre troppo spesso dimenticate chiuse, aggiungere ad aggettivi lieti e positivi altri aggettivi lieti e positivi, tracciare con cura le curve altimetriche di un paese che viene solo sognato. In un certo senso eroicamente muoversi con calma e in silenzio facendo vedere, non ostentando, le infinite combinazioni della felicità. Esploratore accurato e partecipe delle realtà geografiche e umane del Sud America egli sa benissimo come cantava Atahualpa Yupanqui nel suo desolato “Camino del indio”: “Caminantes, no hay caminos, se hace camino al andar”. E quindi i suoi percorsi, le sue mappe, i suoi testi grafici e plastici contengono momenti di scoraggiamento, tristezze improvvise, dettagli atroci e minuscoli (le “minuscole ignominie” di Borges). Esattamente come entro la pagina multicolore e solare di Marquez stanno certe disperazioni, certi suicidi annunciati, certi silenzi mortali così tra le stelle e gli svagati asparagi di bronzo e fulmini tipografici incontri un uccello smarrito, un artiglio adunco, un fuoco che brucia solo se stesso. In “Map and Mirror” Sir Ernest Gombrich descrive la complessa fenomenologia culturale della mappa e vi riconosce una forma ibrida sospesa tra l’alfabeto, la pittura, la poesia e la “semplice” rappresentazione. Così paludi sono disegnate come paludi con piante infestanti, i boschi sono fitte compagini di alberi stretti stretti tanto da non farti vedere il terreno, le città formalizzate sono un campanile, un ponte una porta. A volte ci incontri persino l’ombra, il riflesso del fiume, il cancello semiaperto di un orto. Ma accanto hai il numero, la misura, la scala, il nome.
E, coerentemente, le mappe di Visca, hanno questa qualità di testo scritto con un alfabeto semplice e chiaro e di pochi simboli. Guardando e riguardando le immagini da lui dipinte, incise, cucite, fuse e ricamate (perché Visca ricama, anche) ho annoverato circa ventiquattro geroglifici. Mi sembra che egli scriva con ventiquattro simboli. Gli bastano. Mi bastano. Non li elencherò qui tutti ma sono così gradevoli, così riconoscibili, è così piacevole rincontrarli immagine dopo immagine, riconoscerli nella loro continua metamorfosi che fa piacere farne una sorta di abbreviatissimo dizionario, o forse vocabolario.
Angolo: a volte sembra proprio l’Angolo, quello dei testi di geometria per le Scuole Medie. Con il suo bravo cerchietto ribattuto al vertice, altre volte addirittura esce da un arco di cerchio che, però se lo guardi diventa sempre più “arco” e la Geometria Elementare si scioglie scompare e la freccia può, finalmente, partire. Ma l’Angolo, senza annunci, diventa facilmente una vela piantata un po’ di sbieco su di un mare che sarebbe piaciuto assieme sia a Klee che a Euclide.
Fulmine: è il fulmine tipografico. È la vera saetta con i fianchi a zig-zag, la punta acuminata che si infila nel mare, il fulmine del bambino e dell’eroe, il fulmine delle previsioni del tempo. A volta scende verso il basso da nuvole ondulate e scalate astutamente dei colori figli del blu, a volta sale dal basso, esce da camini, si allontana da fiori schematici e “fulminei”. Può essere rosa, può essere di bronzo, può essere nero o solo essere fatto di aria, ritagliato come in negativo dalla nuvola madre, come in “Piccole Tempeste”.
Asparago: inequivocabilmente ortofrutticolo. Gli esegeti che si sforzeranno di dargli connotati fallico‑freudiani dovranno fare i conti con la sua assoluta immacolata vegetalità, il colore brunoverde delle foglioline, il gambo abbagliante, la cuspide russa e violetta. Ma esso si presenta a volte solo, a volte in gruppo con altri fratelli, alcuni un po’ barbari e coperti di scaglie di cuoio come il catafratto di D’Annunzio. Altri si presentano lignei o germanici, o scivolano sinuosi come il loro riflesso su di un’acqua oleosa di un porto. Sembrano insensibili e silenziosi, e quasi arroganti. Ma ne incontri alcuni che sentono fortissimamente l’attrazione di una stellina di bronzo lontana e si tendono verso di lei, spuntando obliqui e curiosi oltre una coltre di onde matematiche. Ne incontri quasi un clan in “Asparagi” ma, nel “Giardino dei frutti proibiti” l’asparago è il Re (degli scacchi). Mi ricordano, queste creature vegetali così arcaiche ed essenziali, ma buonissime da mangiare, l’episodio narrato da Brillat Savarin nel suo ‘’Meditazioni di Gastronomia Trascendente” in cui si narra dello scherzo bonario inferto a quel Canonico che era oltremodo orgoglioso dei propri asparagi che egli faceva crescere nell’orto dietro la chiesa. Nottetempo vennero, gli amici, colsero gli asparagi veri e li sostituirono con una popolazione di falsi asparagi ben scolpiti ben colorati che, notte dopo notte, facevano “crescere”. Sino al ligneo, beffardo banchetto finale. Quelli veri erano ormai stati ampiamente celebrati in un altro, più privato, banchetto cui il Canonico non venne invitato…
Spirale: destrorsa o sinistrorsa, sottile o resa barocca di tutta una popolazione di segni e di colori sta sola o si accompagna ad altre sorelle. Può uscire da una sorta di camino o, piuttosto, da una guglia conica di castello francese cui è attaccata da una piccola presa, una mano nascosta che la trattenga sul posto.
Che le impedisca di volarsene via. Ma, altre volte, è il percorso stesso dell’Uccellino (vedi alla voce) che se la tira dietro in racemi e intrecci di una memoria calligrafica e piamente scolastica.
Uccellino: è questa la creatura viva forse unica ma quasi sempre presente nelle mappe di Visca. Si tratta di un uccellino che sta a mezzo tra la pernice e la quaglia tra la gazza e la triste gallina. Quella che, per capirsi,: “ritorna sulla via…” una volta smesso di piovere. A volte moltiplicata in uno stormo che punta ad un eroico esodo senza ritorno, o che ritorna dopo l’ennesima migrazione. A volte curiosa, sola, mezzocelata nel verde smerlato di un prato ricamato a giorno (ma un po’ cattivo nelle lame dell’erba) attende che il cacciatore si distragga. Ma la volta dopo è atterrata, morta forse, uccisa da un inganno nell’Agguato di un disco di bronzo sospeso su quattro artigli lucenti. Come in “Cacciatore” di Garcia Lorca dove “quattro colombe per l’aria vanno, volano e portano le loro quattro ombre” già morte. Cosa essa sia per il suo creatore o compagno, non lo so. Ma da questa creatura inerme e indistruttibile, paurosa e impavida spira una costanza nel voler sopravvivere, nel voler vedere, capire e “esserci” che non la scambierei né con l’aquila, né con il pellicano, né con l’Araba Fenice.
Stella: è quasi invariabilmente pentagonale e senza simmetrie stellari, un po’ malfatta, con i raggi diseguali, buttata li per caso, opzione della Creazione astronomica. Più grafica e infantile che scientifica e siderale stabilisce attorno a se un campo gravitazionale gentile e inesorabile che vi attrae punti colorati, fumi, teste speranzose di asparagi e altre stelle.
Potrebbe questo dizionario, questo vocabolario dei segni individuali di Visca continuare tanto che mi da piacere rievocarli dopo che li ho isolati dal loro mondo, li ho “tirati giù” e li ho messi in ordine non alfabetico.
Quello che commuove e seduce sono quasi sempre le forze invisibili che si intrattengono tra questi simboli, tra queste parole. Una stella si piega verso un asparago, una spirale mette un vento intenso e verde in una popolazione di asparagi che seguono la brezza e che, se non fossero radicati, se ne starebbero adesso tutti per aria. Una stella, forse marina (magari un riflesso di una stella) galleggia su di un’onda di bronzo e, a parte, sta una punta acuminata ma rotonda, lucida ma non dura, che allude alle profondità di quel mare. Allude alla pericolosità ma anche alle meraviglie della navigazione.
Ma esiste un’altra presenza curiosa, celata, resa trasparente dalla sua autoironia. Qua e la incontri delle curiose forme di prospettiva: alcuni tavoli la abbozzano in un angolo per presto dimenticarla in quello vicino. A volte un piedistallo inizia ad articolare con precisione infantile e scolastica i nomi delle sue modanature: gola rovescia, listello, scozia, toro… ma poi resta li, perplesso a metà di un segno. Altre vedi delle finestre, aperture in un cubo sghembo che avrebbe fatto la delizia di Pavel Florenskji a veder la sua “Prospettiva Invertita” ancora godere, tra noi miscredenti, di una sua fortuna rara ma salda. Qui sotto c’è, a mio parere, la Scuola e ciò che Visca di essa pensa. Sono restato sorpreso, nell’ascoltarlo, nel rilevare che, a differenza della quasi totalità degli Insegnanti di Scuole Superiori che ho incontrato, non mi ha mai parlato male della scuola. Certo sorrideva nella barba con comprensione delle infinite debolezze di questa nostra creatura fragile e sempre sull’orlo di affogare che è la Scuola. Allora, ma si tratta di personale affabulazione, l’Uccellino mi parve la Scuola. Appiattato per non essere impallinato, reso furbo e veloce per non farsi prendere, attento e paziente per non farsi mettere in forno. Continuamente sull’orlo dell’estinzione ma mai scomparso dagli Atlanti. Sandro Visca non scivolò sul quasi inevitabile pendio dell’ingiuriarla, la Scuola, del condannarla, farne bersaglio di contumelie. Quelle poche citazioni del mestiere del disegnatore, l’accenno parco alla prospettiva, i profili imbarazzati e tronfi dei piedistalli vagamente architettonici, un piccolo ricordo di contrasto cromatico istituzionale, tutto mi ha fatto sospettare, in Visca, un Insegnante paziente ironico e gentile. Una di quelle persone che, all’incontrarlo venti anni dopo, per un viale, metti giù il piede dalla bicicletta e gli dici: “E, allora, gli Asparagi sono cresciuti?»

(Ruggero Pierantoni, “Un alfabeto di ventiquattro segni”, testo nel catalogo della mostra personale “Sandro Visca” 1974 – 1994, alla Sala del Diritto Comune del Palazzo Ducale dell’Università degli Studi di Camerino, 21 ottobre / 4 novembre 1995).

 

-Dal 22 dicembre 1995 al 18 febbraio 1996 è invitato alla mostra “Lupo”, dall’Abruzzo all’immaginario, al Salone delle Fontane a Roma Eur. Espone “Attendere serenamente fuori della tana del lupo” (collage dipinto e pelli cucite, cm. 57×77).

La mostra è a cura di Alessandro Mendini.

1996
-In giugno Sandro Visca è invitato alla mostra “Spazio dell’800-900 in Abruzzo” alla Sala Michetti del Consiglio Regionale d’Abruzzo a L’Aquila. Espone “Sogno di un paesaggio di mare” (arazzo cucito cm. 155×195).

-È presente con l’opera “Nascita di un asparago” (scultura in semirefrattario biscottato, la parte superiore smaltata e toccata in oro, cotture 1 (980°C), 2 (900°C), 3 (750°C), h. cm. 61 – ø di base cm. 12), alla mostra “Raccolta Internazionale d’Arte Ceramica Contemporanea” al Museo Regionale dell’lstituto d’Arte F.A. Grue di Castelli. Nel catalogo i testi sono di Enzo Biffi Gentili e Eduardo Alamaro.

-Dal dicembre 1996 al gennaio 1997 si apre la mostra antologica Sandro Visca “Vessilli d’amore” al Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea dell’Aquila.

Espone un centinaio di opere tra arazzi cuciti, tele dipinte a tecnica mista, cartoni dipinti e cuciti, strutture polimateriche, sculture di pezza e sculture in bronzo e ferro di piccolo formato. Nel catalogo i testi sono di Nicola Ciarletta, Benito Sablone, Lucio Fraccacreta, Gino Marotta, Diego Carpitella, Enrico Crispolti, Tito Spini, Ruggero Pierantoni.

1997
-Visca è invitato alla mostra “Teatrarte novantasette” al Teatro D’Annunzio di Pescara. Espone “Attendere serenamente fuori della tana del lupo” (collage dipinto e pelli cucite, cm. 57×77). La mostra è a cura di Nicoletta Di Gregorio. 9 luglio / 18 agosto.

 In questo anno Visca, insieme a Edoardo Caroccia e a un ristretto gruppo di amici, partecipa alla fondazione dell’Associazione Culturale “Gli alianti” per la quale disegna il logo. L’Associazione  come prima iniziativa nel 1998 promuove con grande successo, alla Galleria della Stazione Centrale di Pescara, un’importante antologica di Andrea Pazienza. La monografia “Andrea Pazienza” Edizioni Baldini & Castoldi, è a cura di Vincenzo Mollica e Michele e Mariella Pazienza, 25 aprile / 21 giugno.

Sempre alla Galleria della Stazione Centrale di Pescara seguono nel 1999 un’altra grande antologica di Tanino Liberatore. La monografia “Liberatore”, Da Quadri a Parigi, Disegni e illustrazioni 1975-1999 è a cura della Casa Editrice 3ntini & C.

Nel 2000 viene aperta una mostra di Milo Manara. Il catalogo è a cura delle Edizioni Gli Alianti.

Nel 2001, con grande successo, viene promossa la retrospettiva di Pino Zac al Forte Spagnolo dell’Aquila che viene replicata in gennaio al Palazzo delle Esposizioni a Roma. Il catalogo “Pino Zac” è a cura delle edizioni Gli Alianti.

1998
Sandro Visca, per il suo vivo interesse verso la storia dell’uomo e dei rapporti con il luogo e i costumi territoriali nel 1998, insieme ad alcuni amici venezuelani, Fausto Giannangeli Rosa, Silvia e Mirna Parra e Josè Luis Padilla parte da Puerto La Cruz e attraversando la Gran Sabana Venezuelana da Canaima a Roraima arriva, dopo un percorso di duemila chilometri in geep, fino in Brasile.

Nell’estate dell’anno successivo, in Africa settentrionale, percorre in geep millecinquecento chilometri del deserto tunisino attraversando le oasi e i luoghi più rilevanti.

In questi viaggi così impegnativi, dove la fatica fisica e i disagi sono una delle componenti filosofiche che lo accompagnano si scopre in lui non solo il piacere del viaggiatore naturalista, ma anche la passione per la fotografia. Perché Visca è anche un bravissimo fotografo, certo è un suo hobby, e lui, riservato come sempre, sfugge da qualsiasi plauso e non vuole essere riconosciuto tale.

-Dal 9 al 12 ottobre espone “Paesaggio” (arazzo cucito, cm. 170×230) e “Asparago” (arazzo tessuto al telaio di Paola Pia di Civitella Alfedena) alla mostra “Abitare il tempo”, Mostre di sperimentazione e ricerca “Riprogettare il passato”, a Verona. Nel catalogo il testo è di Mariano Apa.

-Dal 31 ottobre al 15 novembre l’Istituto Statale d’Arte dell’Aquila lo invita alla mostra “40° Anniversario dell’lstituto Statale d’Arte” al Forte Spagnolo dell’Aquila. Espone “La grande montagna” (stoffe e pelli cucite, cm. 100×150).

-Il 20 dicembre si inaugura la mostra “Museo e archivio di artisti abruzzesi contemporanei” (collezione permanente) al Castello Medievale di Nocciano. Espone “Voli misteriosi sulla montagna” (stoffe e pelli cucite, cm. 100×100). La mostra è a cura di Eugenio Riccitelli.

1999
-Visca insieme ad altri artisti quali Carla Accardi, Bruno Ceccobelli, Peter Flaccus, Gino Marotta e Egon Wostemeier partecipa alla mostra “Annodo”, Kilim contemporanei, al Chiostro di San Salvatore in Lauro a Roma. Espone “Preghiera” (tappeto Kilim, cm. 143×172, tessitrice Mali Ha Talasli, tintore Mehmet Tosunyalin). La mostra è a cura di Giovanna Odorisio.

-Dal 18 luglio all’8 agosto si inaugura la mostra “Artisti & Venti 1944‑1999” Rassegna d’Arte Moderna e Contemporanea, al Forte Spagnolo dell’Aquila. Espone “Paesaggio estivo” (stoffe cucite, cm. 150×50). La mostra è a cura di Antonio Gasbarrini.

-Visca è invitato a partecipare alla mostra “Epicaforma” National exbition al Columbus Centre di Toronto, Canada. Espone “Prima della tempesta” (tela dipinta a tecnica mista, cm. 50×70), “Tramonto estivo” (tela dipinta a tecnica mista, cm. 50×70). La mostra è a cura di Mariano Apa.

-Dal 14 agosto al 26 settembre si inaugura la mostra “Alitalia per L’arte”, Artisti per la 705a Perdonanza Celestiniana, al Forte Spagnolo dell’Aquila. Espone “Fuochi sulla montagna” (stoffe, pelli e spaghi cuciti, cm. 100×150). La mostra è a cura di Massimo Duranti.

-Visca il 5 settembre è invitato dall’Università degli Studi di Camerino al 12 TH Camerino – Noordwijkerbout Symposium, “RECEPTOR CHEMISTRY TOWARDS THE THIRD MILLENNIUM”. Espone “Piccolo paesaggio” (pelli e stoffe cucite cm. 50×50).

-Il 28 dicembre è invitato alla mostra “Quei giovani amici pittori”, Cronache d’arte 1970‑1978 a Casa Rosato a Lanciano. Espone “Sotto il gomitolo bianco” (arazzo cucito, cm. 168×255). La mostra è a cura di Giuseppe Rosato.

-Nel dicembre del 1999 Alessandro Clementi presenta alla Sala rossa di Palazzo Centi all’Aquila il volume Sandro Visca “Abruzzi, L’Arte del far cucina” edito dalla Casa Editrice G.T.E. dell’Aquila. Il volume è stato promosso da Abruzzo Promozione Turismo di Pescara.

«È consolante constatare che, sotto la sigla di Abruzzo Promozione Turismo esca un libro come questo, L’arte del far cucina di Sandro Visca, libro che della nostra regione offre, finalmente, un aspetto raffinato, quasi aristocratico, in linea con certe tradizioni nostre, fatte di sobrietà e di eleganza, aliene dall’opulenza e dallo spreco. Scritto, illustrato e graficamente progettato dall’Autore, stampato rigorosamente dalla G.T.E. dell’Aquila, il volume assomma tutte le qualità di un artista che unisce al talento creativo una esperienza tecnica non comune.
Definire questo un libro di ricette sarebbe una banalità; lo stesso titolo, d’altronde, sembra voler fugare l’equivoco: l’arte del far cucina. Arte, appunto, del “far cucina”, ma non solo.
L’autore dice, nell’introduzione: “Uno degli aspetti che mi ha sempre intrigato di fronte a una pietanza è la sua componente alchemica: una cosa, più un’altra cosa, più un’altra ancora possono insieme dar vita a una prelibatezza, a una leccornia… Che felice momento quando, dinanzi a un piatto da onorare, entrano in competizione tutti i nostri sensi: dalla vista all’olfatto, dal gusto al tatto all’udito”. In questo spirito sono fornite tutta una serie di indicazioni culinarie, che della “ricetta” hanno solo la struttura di base, ma che in realtà vogliono indirizzare il lettore verso scelte raffinate e profondamente colte, anche se apparentemente molto semplici. Ho apprezzato il rigore filologico con cui viene trattato il testo: non a caso, la filologia non è tanto una scienza della parola, quanto un metodo di studio, un modus operandi che può investire qualunque campo. L’esattezza dei termini usati, la precisione con cui vengono proposti gli argomenti, sottintende, qualche volta, una sottile vena ironica: come nel caso della ricetta della misticanza ( pp. 144), che elenca sei erbe, come una cantilena: Lattughina riccia, Valerianella, Caccialepre, Porcacchia, Rucoletta selvatica, Papavero): da condire con sale, olio extravergine di oliva, aceto di lamponi.
Così le Lumache al pomodoro (pag. 70) prendono un andamento fiabesco: per quattro giorni “debbono restare chiuse in un ampio recipiente coperto da una rete a trama sottile per evitare che fuoriescano. Il primo giorno alimentarle solo con la lattughina fresca, mentre i rimanenti tre giorni con crusca di grano…” Ma questo non è solo un testo scritto, è soprattutto un libro splendidamente illustrato: dalle cornici ai capoversi delle pagine, alle raffigurazioni, di varia grandezza, di oggetti, animali, paesaggi, erbe e fiori, la fantasia dell’Autore spazia con volo gioioso e nel contempo misurato.
Abbiamo appreso da Dante che l’arte della miniatura, che a Parigi si chiamava “illuminare», faceva “ridere le carte”: una luce e un sorriso che ritrovo in questo libro felice, che ripaga la carta dalle mortificazioni a cui la cattiva editoria la sottopone.»

(Anna Ventura, Quando la cucina è arte ed a parlarne è un maestro, “Il Messaggero, L’Aquila, 11 febbraio 2000, p. VIII).

 

2000
-Dal 26 febbraio al 31 marzo apre la mostra Visca “In itinere” alla Galleria D’Arte Moderna, Palazzo Ricci di Macerata. Espone “In itinere” (arazzo cucito, m. 34×0,50). La mostra è a cura di Paola Ballesi.

«Non credo – scrive Crispolti – che l’origine motivazionale dell’interesse di Visca per l’arazzo sia di natura avanguardistica“, ma è facile rilevare come esso si innesti su un importante filone di ricerca dell’arte contemporanea, che comprende tanto il recupero della tradizionale poetica del tessuto, a titolo esemplificativo da Cagli a Boetti, quanto le diverse declinazioni di carattere sperimentale, da Depero a Baj, fino alle esperienze più recenti di Ghada Amer o di Louise Bourgeois, teso comunque ad evidenziare, pur nella sua variegata articolazione, la valenza artistica a forte connotazione comunicativa e sociale che il materiale tessile ha il magico potere di traslare e tradurre.
La motivazione che muove Sandro Visca per questa pratica antica è, infatti, anch’essa antica ed ancestrale, nasce dalla confidenza con le proprie radici, dal desiderio manifesto di promuovere una indagine al confine tra ontogenesi e filogenesi, finalizzata a ricucire brandelli di memoria, spezzoni di storia, per ricostruire e ricomporre il tessuto della vita che racconta il complesso intreccio di vissuto e di ethos, in una sequenza di immagini da consegnare allo spettatore come visione immaginifica, ma anche come pellicola tissulare ed epifanica del reale nella continuità del suo inesorabile apparire.
Sono i manufatti artistici, un tempo ritenuti minori e succedanei, rispetto a quelli delle cosiddette “arti maggiori”, a rivelare più generosamente le spinte profonde che muovono l’evolversi storico della cultura, ai primordi dettato semplicemente dal gesto che crea forme e produce immagini, non ancora mediate da alcun dettato coscienziale, ma spontanee e vergini nel loro attingere all’origine del fare produttivo e creativo, costitutivo dello statuto esistenziale dell’uomo impegnato, come suggerisce Heidegger, a “costruire, abitare, pensare”.
Alois Riegl, uno dei maggiori esponenti della “Scuola di Vienna”, individua in essi i tratti fondamentali del Kunstwollen, il volere artistico che fa tutt’uno con la visione del mondo, e, in Alt orientalische Teppische del 1891), getta le basi per un approccio scientifico allo studio del manufatto tanto antico quanto ricco di significati culturali: il tappeto, denominazione estremamente ampia sotto la quale sono compresi sia i tappeti da pavimento sia quelli da parete.
Ad essi corrispondono due tecniche dalla diversa tipologia: ‘’per i tappeti da parete la tessitura ad arazzo (Wirkerey), per i tappeti da pavimento l’annodatura”; la prima tecnica è la più primitiva e con ogni probabilità la più antica forma in assoluto di tessitura. Usati “per coprire, per proteggere, per chiudere”, i primordiali prodotti della tessitura venivano adoperati – precisa Gottfried Semper nel magistrale studio Die texile Kunst (1878 ) – sia per rivestire il corpo, sia per erigere temporanee barriere verso il mondo esterno, e creare così uno spazio abitativo chiuso.
“Quest’ultimo scopo – prosegue Riegl – fu raggiunto nel modo più semplice con l’appendere dei drappi tessuti ad arazzo ad una certa altezza dal suolo, o a mo’ di tenda sopra un palo, o a mo’ di capanna sopra due, tre, quattro o più pali”.
Così, dalla primitiva tecnica dell’intreccio delle stuoie, nacque la tessitura ad arazzo che si diffuse presso tutte le antiche civiltà, caratterizzando con i suoi manufatti tanto la cultura occidentale che quella orientale: dai peruviani inca, agli egiziani, agli indiani ecc..
Dopo aver conosciuto il suo maggiore sviluppo in età tardo‑antica e nel periodo medievale, a partire dal XV secolo, questa antica tecnica, punto di partenza per la tessitura gobelin occidentale, si era già diffusa in tutta l’Europa centrale, dalla Francia ai Paesi Bassi alla Germania, dove veniva esercitata professionalmente, mentre in altri paesi europei fu affidata per molto tempo all’industria domestica rurale.
In Italia queste due linee di sviluppo sembra che siano vissute fianco a fianco, tanto che “ancora oggi, – scrive Riegl nel già citato testo del 1891 – quasi quattro secoli dopo Raffaello, nei dintorni di Macerata troviamo in piena fioritura nel lavoro domestico rurale la produzione di tessuti a strisce colorate… un’eredità proveniente da un remoto passato”.
E proprio nell’ambito di questa notazione sull’attività tessile della provincia maceratese di un secolo fa, è interessante inquadrare l’evento promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata che, con la mostra degli arazzi di Sandro Visca, ha ancora una volta sottolineato la peculiarità di una tra le sue principali funzioni istituzionali, quella di sensibile e sottile sensore particolarmente attento al mondo dell’arte, sia dal punto di vista della fenomenologia degli stili che dello spirito del tempo.
Nel panorama della ricerca artistica contemporanea il lavoro di Sandro Visca si colloca infatti come una variante particolarmente significativa, in quanto strategicamente puntuale nel rappresentare l’attuale sistema dell’arte, caratterizzato da un alto gradiente di diffusività e di consumo del prodotto artistico, che, recuperato soprattutto nella sua originaria matrice comunicativa, pur veicolando un messaggio a forte valenza ad un tempo estetica ed etica, risulta reperibile anche tra gli oggetti di consumo più comuni. Assemblando nel cucito e nel tessuto i materiali più svariati ed eterogenei ai più diversi contenuti rappresentativi, con una speciale attenzione per alcune immagini ricorrenti o emblematiche, egli compone una sorta di glossario metonimico di una immaginifica raccolta di reperti e di tracce mnestiche che contrassegnano e scandiscono il tempo della vita lungo una strada irta di sedimenti iconici che l’autore raccoglie e traduce secondo un codice personalissimo di forme icastiche, cifre araldiche, emblemi e simboli, giocati secondo il sottile spartito dell’ironia.
Intende così rintracciare quel percorso di frontiera dove avviene da sempre ed inesorabilmente l’impatto dell’uomo con il mondo, all’origine del gesto creativo che dà senso all’esistere e partisce il reale con contrassegni simbolici affidati alla pratica artistica, peraltro, nel nostro, sempre funzionale alla rappresentatività dell’immagine, anche nel suo fare più raffinato e apparentemente gratuito, con ciò reclamando l’autonomia del suo gesto rispetto a quello di Burri, la cui giovanile frequentazione resta tuttavia un momento indiscutibilmente significativo nella sua formazione.
Ma con i suoi segni ”cuciti” Visca, tanto pedantemente quanto pazientemente, si sofferma anche a descrivere l’erranza del segno dissociato prima di diventare forma e configurazione, prima di poter acquisire il suo statuto di immagine, allorché attinge alla fonte incantata del sentire originario per alimentare questo processo lento che muove, punto per punto, alla costituzione di un tessuto, lo sfondo su cui può stagliarsi una possibile forma, una volatile idea, una urgente volontà rappresentativa e immaginifica ad un tempo, metafora di quel processo filogenetico di ben più vasta portata che ha contrassegnato la faticosa, lenta ed errante storia dell’umanità.
Nell’avviare l’elaborazione e la raccolta di questi reperti esperienziali, sfociati nella costruzione di “oggetti mentali” conservati nella memoria quali sostituti dell’esperienza stessa, egli declina tutte le strategie tecniche del ricamo per tradurre, in un sistema di segni, cuciti e fermati nel tessuto, spesso seguendo umilmente la logica cogente della trama e dell’ordito, configurazioni e forme apparentemente ingenue, in realtà dotate di intensissimo valore simbolico, codici iconici semplificati ma carichi di vissuto e grondanti di ethos, che egli ha il potere rabdomantico di scovare, raccogliere e presentare così, in itinere.
Il grande arazzo squadernato alle pareti della Galleria Galeotti in Macerata è uno straordinario esempio del lavoro di Visca, una sorta di sintesi che, mentre fa il punto sulla sua ricerca, tradisce anche una intenzionalità trasversale e indiretta, rispetto a quella immediata di carattere artistico, denunciata dalla proiezione del mondo dell’high-tech in un tempo speciale, straniato e sospeso nella lentezza della prassi artigianale, là dove si privilegia l’intervallo e la pausa per conservare tuttavia la velocità, più che mentale, empatica, del fulmineo percorso dell’intuizione, che cattura e collega punti lontani dello spazio e del tempo, da sempre dominio incontrastato dell’artista, sua nicchia privata, in cui è più facile fare venire alla luce il caleidoscopico apparato dell’immaginario.
Ma l’artista non inventa arbitrariamente forme, semmai le rende riconoscibili in quanto partecipe di un repertorio di immagini, come quelle che Sandro Visca recupera ed esprime con inconfondibile idioletto nei suoi cuciti, nei suoi arazzi e nei suoi ricami, sia attraverso partiture astratte che inserti narrativi, contrassegnati da colori intensamente caldi e solari avvicendati ad altri altrettanto puri e notturni nella loro freddezza, nonché da configurazioni soffici e morbide, come possono essere quelle assunte da un materiale di natura organica e perciò vivo, sottile ma indispensabile viatico per tessere e fermare, nella infinita sequenza della rappresentazione immaginifica, alcuni fotogrammi simbolici, come quelli che campeggiano qui, in questo originale story board, dove è gelosamente riposto il segreto senso della vita, scritto con i segni indelebili del lavoro umano che fa coppia con il mondo.»

(Paola Ballesi, “In itinere”, testo nel catalogo della mostra personale al Palazzo Ricci di Macerata, 26 febbraio / 31 marzo 2000 ).

 

-Visca insieme a Carla Accardi, Bruno Ceccobelli, Peter Flaccus, Gino Marotta, Egon Wostemeier partecipa alla mostra “Annodo” Kilim contemporanei, allo Studio Calia di Matera. La mostra è a cura di Giovanna Odorisio. 6/15 maggio.

-Dal 28 maggio al 28 giugno apre la mostra Visca “In itinere” alla Chiesa del Suffragio a Corinaldo. Espone “In itinere” (arazzo cucito, m. 34×0,50). La mostra è a cura di Margherita Abbo.

-Dal 9 settembre al 1 ottobre Visca replica la mostra “In itinere” al Forte Spagnolo dell’Aquila. Espone “In itinere” (arazzo cucito, m. 34×0,50). La mostra è a cura dell’Associazione Culturale “Un cuore rosso sul Gran Sasso”.

-Visca è invitato alla mostra Annuale d’Arte 2000 “Lo scandalo dello spirito”, Arte contemporanea per Celestino V, al Forte Spagnolo dell’Aquila. Espone “Ripostiglio estivo” (pelli e stoffe cucite, cm. 80×150), “Ripostiglio segreto” (stoffe cucite, cm. 80×150), “Fuochi sulla montagna” (stoffe, pelli e spaghi cuciti, cm. 100×150), “La grande montagna” (stoffe e pelli cucite, cm. 100×150). La mostra è a cura di Enrico Sconci. 27 agosto / 25 settembre.

-Dal 1 al 15 settembre partecipa alla mostra “World Festival of Art on Paper” a Kranj, Slovenia. Espone “La città degli asparagi” (acquerello su cartoncino Fabriano, cm. 76×57), “Paesaggio di mare” (acquerello su cartoncino Fabriano, cm. 76×57). Nel catalogo della mostra i testi sono di Berislav Valusek.

-Dal 20 dicembre 2000 al 31 gennaio 2001 Visca partecipa alla mostra “Natività in ceramica” alla Chiesa di Santa Maria degli Angeli – Museo delle ceramiche di Castelli. Espone “Nascita di una stella” (refrattario maiolicato e oro al terzo fuoco, cm. 36x6x48). La mostra è a cura di Antonello Rubini.

2001
-Dal 3 marzo al 1 aprile apre la mostra Visca “In itinere” al Centro Culturale Officina di Lucca. Espone “In itinere” (arazzo cucito, m. 34×0,50). La mostra è a cura di Emy Petrini. In occasione di questa esposizione si tiene una lezione sull’arazzo cucito “In itinere” presso L’Accademia di Belle Arti di Pisa e due laboratori per ragazzi presso Il Centro Culturale Officina.

-Dal 21 luglio al 10 settembre è invitato alla Rassegna pittori e scultori ceramisti abruzzesi “Column’art 2001” al Palazzo Pardi, Colonnella. Espone “La porta dei sogni” (tecnica mista, cm.50×50), “Piccolo paesaggio in posa” (tecnica mista, cm.50×50), “Tempesta sulla montagna” (tecnica mista, cm.50×50). La mostra è a cura dell’Associazione artisti teramani.

-Dal 16 dicembre al 6 gennaio 2002 Visca è invitato alla Rassegna Internazionale “Mail Art” alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Termoli. La mostra è a cura del Centro Culturale “Il Campo” di Campomarino.

-Il 18 dicembre Visca partecipa alla Rassegna d’Arte Contemporanea “Natale per i Palestinesi… Pasqua in Palestina”, Solidarietà internazionale con e Land Research Center Gerusalemme, al Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea dell’Aquila.

2002
-In giugno Visca è invitato alla mostra “Tracciati d’Arte in Abruzzo, – Un’esplorazione di vicende e tendenze, – alla Sala G. Trevisan di Giulianova.

Espone “Il teatrino del Martin Pescatore” (tecnica mista, stoffe cucite e foglia d’oro, cm. 50×55). La mostra è a cura di Carlo Fabrizio Carli.

-In luglio Visca è invitato al Premio Nazionale di Letteratura Naturalistica “Parco Maiella” di Abbateggio. Partecipa con il volume  Abruzzi, L’Arte del far cucina  e gli viene assegnato il 3° Premio per la sezione “Saggistica edita” intitolata a Paolo Barrasso. Il concorso è promosso dalla Pro Loco di Abbateggio in collaborazione con il Columbus Centre di Toronto, Canada.

-Dal 27 luglio al 13 ottobre è invitato al XXXV Premio Vasto, Il secondo novecento in Italia, Riferimenti forti, ai Musei Civici in Palazzo Davalos di Vasto. Espone “Il teatrino dei fiori” (tecnica mista e foglia d’oro, cm. 50×55), “Caduta di un teatrino” (tecnica mista e foglia d’oro, cm. 50×55), “Il teatrino dell’amore” (tecnica mista e foglia d’oro, cm. 50×55), “Salvataggio” (tecnica mista e foglia d’oro, cm. 50×50). La mostra è a cura di Enrico Crispolti.

-Dall’8 dicembre al 7 gennaio Visca è invitato alla mostra “Viaggio per terra”, Undici scultori a Castelli. Laboratorio ceramico internazionale sulla Salita Paradiso di Castelli. Espone “Nascita di un asparago rosso” (refrattario maiolicato e oro al terzo fuoco, h. cm. 260, base ø cm. 40). La mostra è a cura di Antonello Rubini.

-A dicembre è invitato alla mostra “01 Arte Contemporanea Internazionale” alla Vox Ecomunicazioni di Roma. Espone “Paesaggio pericoloso” (acquerello cucito, cm. 50×40). La mostra è a cura di Stefano Marotta.

2003
-Sandro Visca insieme a Giuseppe Fiducia è invitato ad una mostra itinerante  negli U.S.A. e in Canada: Los Angeles, San Francisco, New York, Washington, Vancouver, Toronto, Montreal. La mostra è promossa dalla Presidenza della Giunta Regionale della Regione Abruzzo. Espone “Paesaggio invernale” (pelli e stoffe cucite, cm.50×50), “Paesaggio di tempesta” (pelli e stoffe cucite, cm.50×50), “Montagna di fuoco” (pelli e stoffe cucite, cm.50×50) Nel pieghevole della mostra i testi sono di Maria Cristina Ricciardi.  Febbraio/marzo.

-In occasione della presentazione del volume «Vicende, testimonianze e contesto di una esperienza italiana – Liceo Artistico “G. Misticoni” dal 1947» di Antonio Zimarino, Visca partecipa alla mostra «Immagini di una esperienza» allo Spazio per le Arti – SPARTS di Pescara. Espone “Stellario“ (stoffe cucite, cm. 125×150), “Il teatrino del martin pescatore” (tecnica mista, stoffe cucite e foglia d’oro, cm. 50×55). La mostra è a cura di Piera Di Nicolantonio.

-Il 3 giugno è invitato alla mostra “Futuro remoto” – L’arte della materia dall’antichità al contemporaneo – al Palazzo Dorotea di Villetta Barrea. Espone “Rosso di paesaggio” (stoffe cucite, cm. 70×50).

 -Nel mese di luglio il Comune di Ofena promuove la mostra personale di Visca “Teatrini” a cura di Antonello Rubini. Espone “Stellario”(stoffe cucite cm.125×150), “Teatrino notturno” (stoffe cucite cm. 50×50), “Tempesta sulla montagna” (collage e carte cucite cm.50×50), “Teatrino pericolante” (tecnica mista cm.50×50), “Il teatrino dell’amore” (tecnica mista e foglia d’oro cm.50×55), “Il teatrino dei fiori” (tecnica mista,stoffe e foglia d’oro cm. 50×55), “Caduta di un teatrino” (tecnica mista, stoffe e foglia d’oro 50×55), “Teatrino orientale” (tecnica mista, stoffe cucite e foglia d’oro cm.50×55), “Asparago in posa”( teatrino) (tecnica mista e stoffe cucite 65×49), “Il teatrino del martin pescatore” (tecnica mista, stoffe cucite e foglia d’oro 50×55), “L’imprudenza del martin pescatore” (teatrino) (tecnica mista, tempere e foglia d’oro 65×50), “L’istrionismo del guitto” (teatrino) (tecnica mista, tempere e foglia d’oro cm.65×50), “Ripostigli segreti” (teatrino) (tecnica mista e stoffe cucite cm. 65×49), “Quando volano le comete” (teatrino) (tecnica mista, stoffe cucite e foglia d’oro cm. 65×50), “Personaggio teatrante” (teatrino) (tecnica mista e stoffe cucite cm. 70×50), “Caduta di un personaggio” (teatrino) (stoffe e pelli cucite cm. 70×58), “Spettacolarità dell’interprete” (teatrino) (tecnica mista e stoffe cucite cm. 63×43), “Dietro le luci della ribalta” (teatrino) (tecnica mista, stoffe e foglia d’oro cm.65×48), “Capitolazione di un personaggio (teatrino) (tecnica mista e carte cucite cm. 70×50), “Caduta di una teatralità” (teatrino) (tecnica mista, stoffe e carte cucite cm. 70×50),  “Salvataggio estremo” (teatrino) (tecnica mista, stoffe e carte cucite cm. 50×50),” Personaggio invernale” (teatrino) (tecnica mista, stoffe cucite e foglia d’oro cm. 30×138), “Personaggio estivo” (teatrino) (tecnica mista, stoffe cucite e foglia d’oro cm. 30×138), “Personaggio Primaverile” (teatrino) (tecnica mista, stoffe cucite e foglia d’oro cm. 30×140). Inoltre vengono presentate sei sculture polimateriche di cm.60x40x145 – 60x40x155 – 60x40x144 – 60x40x134 – 60x40x132 – 60x40x132. 

-L’11 ottobre viene invitato alla mostra “Artpolis 2003“ alla Chiesa di S. Silvetro di Guardiagrele. Espone “Notturno dorato” (stoffe cucite cm. 70×50). La mostra è a cura di Veniero De Giorgi.

Il 26 ottobre partecipa alla mostra “500 artisti nell’arcobaleno degli angeli” – Ambientazione di mail-art internazionale, S. Giuliano di Puglia. Espone un piccolo cartone cucito.

2004
-Dal 26 luglio al 7 agosto viene invitato a partecipare ad una mostra collettiva nello Spazio archeologico c/o il Teatro sociale di Trento. Espone “Il teatrino dei fiori” (tecnica mista, stoffe e foglia d’oro, cm. 50×55), “Il teatrino del martin pescatore” (tecnica mista, stoffe cucite e foglia d’oro, cm. 50×55), “Il teatrino dell’amore” (tecnica mista e foglia d’oro, cm. 50×55), “Asparago in posa – teatrino” (tecnica mista e stoffe cucite, cm. 65×49), “Spettacolarità dell’interprete” (tecnica mista stoffe cucite, cm. 63×43). La mostra è a cura del Teatro Stabile di innovazione L’Uovo dell’Aquila.

-Il 18 agosto Visca viene invitato al XXVI Premio di Arte contemporanea “Enrico Mattei” alla sala polivalente Mario Sinopoli di Civitella Roveto. Espone “Teatrino pericolante” (tecnica mista, cm. 50×50), “Ripostigli segreti” (tecnica mista e stoffe cucite, cm. 65×49), “Quando volano le comete” (tecnica mista, stoffe cucite e foglia d’oro, cm. 65×50). La mostra è a cura di Luigi Lambertini, Carlo Fabrizio Carli e Mariano Apa.

-Il 7 agosto è invitato alla mostra “Arte contemporanea d’Abruzzo” alla Sala Consiliare del Comune di Ofena. Espone “Stellario” (stoffe cucite, cm. 125×150), “Notturno dorato” (stoffe cucite, cm. 70×50). La mostra è a cura di Antonello Rubini.

-In ottobre viene invitato, a Seul (Korea), a partecipare ad una mostra in omaggio al sommo poeta Francesco Petrarca.  Espone “Passa la nave mia colma d’oblio per aspro mare,…” (cartone cucito, cm. 76×106), ”Passer mai solitario in alcun tempo non fu quant’io…” (cartone cucito, cm. 76×106). La mostra è a cura dell’Istituto Italiano di cultura di Seul.

-Il 15 dicembre il Comune di Ofena affida a Sandro Visca l’incarico di procedere all’ideazione di un progetto definitivo ed esecutivo relativo ad una Via Crucis da installare nel territorio di Ofena, nonchè la direzione artistica per la redazione dello stesso. Visca demanda la scelta degli autori, per la progettazione iconografica delle 14 stazioni di “Itineris, al critico Antonello Rubini che sceglie gli artisti: Gino Marotta, Valeriano Trubbiani, Joe Tilson, Sandro Visca, Fausto Cheng, Mauro Andrea, Sergio Vacchi, Hermann Albert, Paolo Baratella, Louis Cane, Mikhail Koulakov, Giannetto Fieschi, Claudio D’Angelo, Mauro Berrettini.

2005
– Il 15 ottobre Visca viene invitato alla mostra “Le due rive” Artisti Italiani e Croati in occasione del 50° anniversario del Premio Termoli. Espone “Giù il sipario”(stoffe cucite, cm 100×100), “Teatro safari” (stoffe cucite, cm 100×150). La mostra è a cura di Antonello Rubini e Jasminka Poklecki Stosic.

 -Il 26 novembre a Pieve Di Cento, in occasione dell’inaugurazione del nuovo Museo d’Arte delle generazioni italiane del 900 “G. Bargellini”, Visca è presente nella mostra “Collezione generazioni anni quaranta” con due opere che rimarranno in permanenza nello stesso Museo: “Il grande coleottero” (struttura in legno, chiodi,stoffe e pelli, cm 179x130x235), “Prima della tempesta” (tecnica mista su tela, cm 50×70). La mostra è a cura di Giorgio Di Genova.

2006
-Il 21 maggio ad Ofena viene inaugurata “Itineris” Una Via Crucis Per Ofena, per il progetto e la direzione artistica di Sandro Visca. L’opera,composta di quattordici edicole in pietra è stata corredata nella parte iconografica dalle opere in fotoceramica degli artisti: Gino Marotta, Valeriano Trubbiani, Joe Tilson, Sandro Visca, Fausto Cheng, Mauro Andrea, Sergio Vacchi, Hermann Albert, Paolo Baratella, Louis Cane, Mikhail Koulakov, Giannetto Fieschi, Claudio D’Angelo e Mauro Berrettini. La progettazione tecnica e l’impianto d’ illuminazione  sono stati curati dall’ingegnere Nicola Pescatore.

Nel mese di maggio viene pubblicato “Andrea Pazienza Visca”. Il libro, di 164 pagine, edito dalla Casa Editrice Fandango, è stato stampato in bianco e nero e a colori. Composto da disegni, fumetti e storie esilaranti che Andrea Pazienza da allievo dedicò a Sandro Visca durante la sua frequenza presso il Liceo Artistico di Pescara, si aggiunge alle più note opere monografiche di Pazienza, Pentothal, Zanardi e Pertini. Visca, come risulta dall’archivio Pazienza, è stato il personaggio vivente più disegnato dal genio del fumetto italiano.

 -A Lanciano è presente nella mostra “Arte per la vita” con l’opera “Paesaggio d’amore” (serigrafia e collage, cm. 50×35), la mostra è a cura di Vito Bucciarelli.

-A Roma il 13 dicembre la Casa delle Letterature e la Casa Editrice Fandango presentano la mostra “Visca” di Andrea Pazienza. Intervengono alla presentazione Sandro Visca e lo scrittore Emanuele Trevi. La mostra composta da novantatrè opere di Pazienza, evidenzia storie a fumetti, vignette e disegni inediti realizzati nei primi anni settanta, protagonista Sandro Visca, l’insegnante di disegno e amico di una vita.

 2007
-Il 18 gennaio a Roma Visca viene invitato a partecipare alla mostra “Sagome 547” promossa dal Ministero degli Affari Esteri. La mostra “Sagome 547”è stata dedicata ai bambini che secondo il rapporto UNICEF 2005 sulla condizione dell’infanzia nel mondo, muoiono ogni giorno a causa di guerre e di terrorismo. Espone “ Sagoma” (stoffe cucite e incollate su tavola, cm.50x120x1).

-Il 22 settembre è presente alla mostra Annuale 2007 L’Aquila Città della Pace in nome di Celestino V, allestita presso l’ex Monastero di S.Maria dei Raccomandati. La mostra è a cura di Enrico Sconci.

Nel mese di settembre a Ofena viene presentato il catalogo “Itineris” Una Via Crucis per Ofena (Progetto artistico di Sandro Visca) a cura di Antonello Rubini, Mazzotta Editore settembre 2007 (testi in catalogo di Sergio Cinquino, Monsignor Ersilio Tonini, Sandro Visca, Nicola Pescatore, Enrico Crispolti, Antonello Rubini).

2008
-Il 29 marzo, presso il Museo d’Arte Moderna Vittoria Colonna di Pescara, la Casa Editrice Textus promuove una mostra antologica di Visca:  “Visca, Opere 1962-2008”. (In catalogo un saggio di Plinio Perilli e una Meta-Biografia di Antonello Rubini).

2009
Il 6 aprile 2009, l’Aquila, città natale di Visca, viene semidistrutta da un tremendo terremoto.

Mentre la terra trema ancora, Visca è impegnato a soccorrere il suo vecchio padre, ultranovantenne, ferito gravemente sotto le macerie e con non poche difficoltà, dopo le prime cure, riesce a metterlo al sicuro presso l’ospedale di Pescara. Trascorsi pochi giorni, con ancora negli occhi l’immane sciagura, Visca deve recuperare le ultime forze mentali per riuscire ad evacuare l’archivio delle sue opere, allestito presso la sua casa di Ripa Fagnano, a venti chilometri dall’Aquila, ormai gravemente sconquassata e resa inagibile dal sisma.

Il 14 maggio 2009, con Delibera della Giunta del Comune di Pescara, l’archivio delle opere e l’archivio bio-bibliografico di Visca vengono accolti presso il caveau del Museo D’Arte Moderna Vittoria Colonna. Ma i guai non sono finiti. A seguito degli eccezionali eventi metereologici del dicembre 2013, i locali del Museo Vittoria Colonna, dove era custodito temporaneamente l’archivio delle opere di Visca,  si allagano con conseguenti danni, provocati dall’acqua, alle opere dipinte e alle strutture polimateriche. Molte opere restano devastate e il danno sembra irreparabile ma Visca, recuperate le ultime energie fisiche e psicologiche, dopo un estenuante restauro durato più di un anno riesce a salvare la maggior parte dell’archivio.
Causa queste terribili calamità e le conseguenze che hanno comportato, Visca deve cercare di ritrovare la tranquillità persa e per alcuni anni non riesce più a svolgere normalmente la sua produzione artistica.     

-Nel mese di maggioVisca partecipa alla mostra “Cento artisti per L’Aquila”, allestita presso il Museo d’Arte Moderna Vittoria Colonna di Pescara. (In catalogo testi di Paola Marchegiani e Roberto Rodriguez).

2010

-Presso il Museo d’Arte Moderna di Nocciano, è presente nella mostra “Il libro come opera d’arte” (Testi in catalogo di Ivan D’Alberto e Enzo Fimiani).

2011
-Nel mese di giugno Visca è invitato all’Esposizione Internazionale D’Arte 54. BIENNALE DI VENEZIA per il 150° dell’Unità d’Italia (Pescara – Ex Aurum).

-Nel mese di luglio Visca è invitato all’Esposizione Internazionale D’Arte 54. BIENNALE DI VENEZIA per il 150° dell’Unità d’Italia (Civitella del Tronto – Fortezza borbonica).

-Nel mese di agosto a Santo Stefano di Sessanio, come Evento Speciale – Padiglione Italia 54.BIENNALE DI VENEZIA, Visca presenta il film d’arte “Un cuore rosso sul Gran Sasso” 1975-2011. (Testi in catalogo di Umberto Palestini, Sandro Visca, Diego Carpitella, Annunziata Taraschi).

-Visca è invitato alla mostra “VISIONI” La fortezza plurale dell’arte. (La mostra è a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Umberto Palestini) Fortezza borbonica dal 1 al 31 luglio.

-Nel mese di dicembre L’Arca – Laboratorio per le Arti Contemporanee di Teramo, promuove la mostra di Visca “Un cuore rosso sul Gran Sasso 1975-2011… e altre visioni” dove oltre la proiezione del film, espone una serie di grandi opere e i due libri d’arte spaginati, eseguiti a mano in tiratura limitata, “Un cuore rosso sul Gran Sasso” e “Per un cuore rosso sul Gran Sasso”. (Nel pieghevole della mostra testi di Umberto Palestini e Sandro Visca).

2012
-Visca è invitato alla manifestazione “CORPO” – Festival delle arti performative a cura di Ivan D’Alberto e Sibilla Panerai. Sala convegni MAAAC – Museo di Arte Contemporanea, Castello di Nocciano. Il viaggio ascetico di Sandro Visca “Un cuore rosso sul Gran Sasso”.

2015
-Nel mese di settembre Visca viene invitato alla XIII Mostra Nazionale “Tex d’autore” Fumetto & Arte (Città di Castello).

-In occasione del Centenario di Alberto Burri, Visca è invitato alla mostra “Intorno a Burri – Scatti d’autore” presso Art Studio Gallery di Lamezia Terme. 29 ottobre – 15 novembre.

Nel mese di novembre la Fondazione Pescarabruzzo edita, per la Collana Orizzonti, il volume di Visca “Perù – Donde se amarra el sol” Viaggio fra Arte, Storia e Natura. Il racconto di un viaggio fatto in Perù del 1978 e scritto da Visca nel momento di grande debolezza che stava vivendo dopo il tragico terremoto dell’Aquila. Tuttavia un libro non concepito da scrittore, ma come un’azione terapeutica rivolta solo all’energia di quei tempi vissuti con audacia.

2018
-Nel mese di marzo, pesso il Palazzo Reale di Milano Visca partecipa all’asta d’Arte Contemporanea a favore del progetto “Mediterraneo – Lo specchio dell’altro”, promossa da Arturo Schwarz, a cura di Gloria Gatti.

Nel mese di settembre, dal 9 al 29, Abc Abruzzo Contemporaneo – luoghi d’arte – a cura di Barbara Birindelli e Leo De Rocco, promuove una mostra personale di Visca presso il Palazzo Vescovile – Museo Diocesano – di Lanciano. (In catalogo testo di Licia Caprara).